Queste vie
erano costituite dai dieci numeri primordiali, i Sephiroth,
e dalle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico; per mezzo loro
Dio aveva creato tutto ciò che esisteva. Infatti all'inizio dei
tempi esistevano solo Dio e il Nulla Primordiale; egli mandò nel
Nulla una sua emanazione sotto forma di luce e da questa
vennero, a catena, altre emanazioni, dieci in tutto. I Sephiroth
erano quindi parte di Dio, sfaccettature della personalità
divina, e fornivano all'uomo un sentiero per tornare a Dio,
essendo energie intermedie fra il Creatore e il creato. Nella
sua risalita, il Cabalista passava per ogni Sephira e ne
acquisiva le caratteristiche; quindi se la Cabala era una
ricerca di Dio, era anche un tentativo di ottenere poteri
magici. I Sephiroth venivano mostrati con una figura, detta
"albero della vita", che indicava lo schema occulto
dell'universo ed in cui poteva essere classificato tutto.
1- Kether
(suprema corona) è la prima emanazione; rappresenta la forza di
Dio, considerato il Primum Mobile, la Causa Prima. Corrisponde
allo Zeus greco; i suoi simboli sono la corona, la regalità.
2- Hokmah
(sapienza) è un principio maschile, attivo, positivo, forza che
origina ogni attività, ogni evoluzione. Simboleggia lo spirito
dispensatore di vita, il verbo creatore. Corrisponde a Urano. I
suoi simboli sono la torre e la linea retta.
3- Binah
(comprensione) è un principio femminile, passivo, le acque del
caos che verranno fecondate e daranno origine a tutto. Le sue
divinità sono le dee madri; i suo simboli la coppa, il rombo, il
circolo.
4- Chesed
(amore) è un principio maschile e rappresenta la forza che
ordina le cose e che le edifica, il padre che protegge il
figlio, la giustizia, la pace, l'amore, la benevolenza. Suoi
simboli sono lo scettro e la bacchetta.
5- Geburah
(potere) è un principio femminile e corrisponde a Marte;
ricordiamo che le corrispondenze cabalistiche ed astrologiche
spesso non coincidono. E' l'autorità della madre che da la
disciplina; i suoi simboli sono la spada e la frusta.
6- Tiphereth
(bellezza) è la sfera del sole, che deve equilibrare i due
precedenti, costruttore e distruttore; è l'energia, la forza
vitale; rappresenta Cristo perchè discende direttamente da
Kether; i suoi simboli sono la croce e il cubo a sei facce.
7- Netzah
(pazienza) è un principio maschile; rappresenta l'eternità di
Dio, le forze stabili della natura, l'istinto, la spontaneità;
corrisponde a Venere.
8- Hod
(maestà) è il principio femminile che rappresenta le facoltà
mentali, l'immaginazione, la fantasia, la vista interiore, le
reazioni ponderate e razionali; corrisponde a Mercurio.
9- Yesod
(fondazione) è il conciliatore dei due precedenti, la luna,
l'abisso, l'occulto, la sessualità.
10- Malkuth
(regno) è la sfera della terra, del corpo, della materia.
Le ventidue
lettere dell'alfabeto ebraico venivano considerate i mattoni
dell'universo, poiché Dio aveva creato il mondo usando parole in
lingua ebraica. Come nel greco, anche in ebraico i numeri sono
espressi con le lettere dell'alfabeto, perciò ogni lettera ha
anche un valore numerico. Vediamo ora le lettere.
1- Alef. E' una
delle tre lettere madri, dal valore numerico di uno.
2- Beth.
Lettera doppia, valore numerico di due.
3- Gimel.
Lettera doppia, valore numerico di tre.
4- Daleth.
Lettera doppia, valore numerico di quattro.
5- He. Lettera
semplice, valore numerico di cinque.
6- Waw. Lettera
semplice, valore numerico di sei.
7- Zahin.
Lettera semplice, valore numerico di sette.
8- Heth.
Lettera semplice, valore numerico di otto.
9- Teth.
Lettera semplice, valore numerico di nove.
10- Yod.
Lettera semplice, valore numerico di dieci.
11- Kaf.
Lettera doppia, valore numerico di 20.
12- Lamed.
Lettera semplice, valore numerico di 30.
13- Mem. E' la
seconda lettera madre, dal valore numerico di 40.
14- Nun.
Lettera semplice, valore numerico di 50.
15- Samek.
Lettera semplice, valore numerico di 60.
16- Ayin.
Lettera semplice, valore numerico di 70.
17- Peh.
Lettera doppia, valore numerico di 80.
18- Sade.
Lettera semplice, valore numerico di 90.
19- Qof.
Lettera semplice, valore numerico di 100.
20- Res.
Lettera doppia, valore numerico di 200.
21- Sin. E' la
terza lettera madre, dal valore numerico di 300.
22- Tau.
Lettera doppia, valore numerico di 400.
Le lettere
dell'alfabeto hanno sempre avuto grande importanza in magia, ed
in particolare nella Cabala; ad esse corrispondono tre chiavi di
lettura: la Gematria, il Notarikon e la Temurah. La Gematria
converte le lettere in numeri, li somma ed ottiene una certa
cifra; le parole che hanno lo stesso numero possono sostituirsi
l'una con l'altra. Per esempio, la frase "Shilo verrà" vuol dire
che verrà il Messia, perché Shilo e Messia hanno lo stesso
valore numerico.
Il Notarikon prende la prima e l'ultima lettera delle
parole di una frase e compone un'altra parola; oppure considera
le parole come se fossero acrostici, cioè ogni lettera di una
parola sarebbe l'iniziale di un'altra parola. L'esempio più noto
è AGLA, parola magica che si trova tanto spesso sui talismani e
nei cerchi magici: è formata dalle parole Atha, Gibor, Leolam e
Adonai, che vogliono dire: "Tu sei possente per sempre, o
Signore", per cui scrivere Agla significa creare una barriera
contro gli spiriti infernali usando la potenza di Dio per
fermarli.
La Temurah anagramma le parole o sostituisce una lettera
con un'altra; questo è molto utile in magia, perché permette di
sostituire una cosa con un'altra, riversando sull'altra il
destino felice o infelice. Dice una leggenda che ai tempi della
Seconda Guerra Mondiale gli Ebrei siriani, temendo di essere
invasi dall'esercito tedesco, dopo la caduta della Grecia,
trasposero il nome Siria in Russia, che in ebraico hanno le
stesse lettere, ma messe in modo diverso; così i Tedeschi
deviarono il loro cammino ed invece di invadere il Medio Oriente
si diressero verso la Russia. Usando queste tre chiavi si
possono quindi trovare significati nascosti nelle cose e creare
parole dotate di particolare potenza; i Grimori devono molto a
questa pratica cabalistica, perché i maghi, come i Cabalisti,
credevano che i nomi fossero fonte di potere e che nel nome di
una cosa ci fosse l'essenza della cosa stessa. Nel Medioevo
c'era la diffusa convinzione che gli Ebrei usassero la Cabala
per maledire Cristo nelle loro preghiere quotidiane; infatti
essi dicevano: "Coloro che si inchinano alla vanità e al nulla
pregano un dio che non dà salvezza". Dato che l'espressione "al
nulla" corrispondeva numericamente a Gesù, l'Inquisizione
censurò questo passaggio, che fu poi eliminato definitivamente
dal rituale per evitare guai.
Alcuni testi
cabalistici si presentano in forma di dialogo fra un insegnante
ed i suoi allievi, i quali fanno domande ed esprimono le loro
opinioni e i loro dubbi; il Rabbi (parola che significa "mio
maestro") controlla che ogni studente abbia esattamente capito
ogni passo e non corra pericoli derivanti dall'uso improprio di
questa dottrina segreta. Per studiare la Cabala occorrono
saggezza, pazienza, intuito e maturità, per questo i maestri ne
sconsigliano l'approccio prima dei quaranta anni, e sempre con
un maestro che segua. Pasticciare con le formule cabalistiche
può essere molto pericoloso; si narra di un giovane che odiava
il fratello maggiore; con un rituale magico cercò di ucciderlo,
ma sbagliò bersaglio ed uccise suo padre alla stessa età di suo
fratello, eliminando quindi anche se stesso.
La Cabala
comprende vari scritti, alcuni dei quali di autori anonimi; i
due più famosi sono il Sepher Yetzirah e lo Zohar.
Il primo, il Libro della creazione, scritto in ebraico e
composto da poche pagine, viene attribuito dalla tradizione al
patriarca Abramo, ma fu probabilmente scritto a Babilonia tra il
II e VI secolo dopo Cristo; esso parla dell'universo costituito
dai Sephiroth e dalle lettere dell'alfabeto ebraico. Data la sua
brevità, fu tra le opere più conosciute e tradotte. A
riscoprirlo sarebbe stato Shabbatai Donnolo, vissuto nell'Italia
meridionale attorno al 950 d.C.; egli non fu un vero cabalista,
ma si limitò a far girare tra gli studiosi i manoscritti che
erano venuti in suo possesso; il suo amico Saadia Gabon, molto
interessato alla Cabala, lo tradusse in latino, arricchendolo
con un dotto commento.
Il Sepher
ha-Zohar, il Libro dello splendore, è un'opera monumentale
in dodici libri, scritta in aramaico con alcune parti in
ebraico; fu composta in Spagna nel 1275, probabilmente da Moses
Ponce de Leon o da Yosef Giqatilla (1248-1325), autore di altri
testi cabalistici. Lo Zohar è una summa di tutta la
dottrina cabalistica; vi si parla di un antichissimo libro dei
segreti, dato ad Adamo dall'angelo Raziel, che conteneva il
mistero della saggezza e permise ad Adamo di riacquistare la
propria dignità dopo la cacciata dall'Eden. La leggenda dice che
il nucleo iniziale del testo fu ispirato da Rabbi Simeon ben
Yokhai, vissuto nel II secolo d.C.; condannato a morte dai
Romani, egli si era rifugiato in una grotta col figlio Eleazar
ed altri discepoli. Le loro conversazioni su temi mistici erano
state poi raccolte sotto forma di appunti, che avevano formato
la base per lo Zohar.
Il libro più
popolare è il Talmud, lo Studio, antologia di motti,
sentenze e racconti, i cui protagonisti non sono eroi che
affrontano vittoriosamente mille avventure, ma saggi ebrei, che
insegnano le sottigliezze della Torah, la legge mosaica, con
numerose parabole.
Il testo cabalistico più ermetico è il Sepher ha-Temunah,
il Libro della figura, composto da un anonimo nel 1200, in
Catalogna o in Provenza. Esso parla delle attribuzioni delle
ventidue lettere dell'alfabeto, visualizzate come tre ruote che
si muovono arricchendosi sempre più di significati occulti.
Infine ricordiamo il Sepher ha-bahir, il Libro fulgido, che è
considerato il primo testo della Cabala medievale; risale
all'inizio del XII secolo e si presenta come un commento alle
sacre scritture, in forma di dialogo.
Uno dei più
noti esegeti spagnoli di Cabala fu Abraham Ben Samuel
Abulafia; egli nacque a Saragozza e viaggiò in lungo e in
largo, venendo in contatto con una comunità sufita, che lo
influenzò moltissimo. Nel 1271 venne invaso dallo spirito
profetico e nel 1280 si recò a Roma per convincere il papa
Niccolò III dell'unità occulta di tutte le religioni;
imprigionato, si salvò per la repentina morte del pontefice.
Egli si considerava iniziatore della cabala profetica; nella sua
Epistola dei sette veli spiegò che la creazione era stata il
risultato di un atto di scrittura di Dio: la scrittura aveva
formato la materia della creazione; una disciplina particolare,
che combinava le lettere dell'alfabeto ebraico con i numeri,
permetteva di raggiungere l'estasi, la consonanza con il proprio
angelo-guida spirituale. Chi seguiva questa pratica poteva
realizzare al suo livello ciò che il messia avrebbe realizzato
un giorno per l'umanità intera. Queste concezioni provocarono la
rivolta della comunità ebraica, che non accettava l'idea di un
messia umano.
Un altro famoso cabalista spagnolo fu Mosheh ben Maimon
(1135-1204), meglio noto col nome latinizzato di Maimonide;
nato a Cordova, dopo aver compiuto gli studi superiori cominciò
a girare per l'Europa, spingendosi fino in Egitto, che egli
considerava la patria di ogni conoscenza occulta. Raccolse il
suo sapere in diciotto trattati, uno dei quali, La guida degli
smarriti, gli procurò il titolo di massimo cabalista spagnolo.
Ad introdurre
la Cabala in Francia fu Isacco ben-Avraham il Cieco (1165-1235),
nato a Beaucaire, in Linguadoca. Egli era un sostenitore della
necessità della meditazione e della contemplazione per
avvicinarsi a Dio. Di lui resta solo un commento al Sepher
Yetzirah. Tra i suoi discepoli il più noto fu Mosè ben
Hachman, detto Nachmanide, iniziatore della cabala
filosofica, di cui impregnò la legge talmudica. Fu anche un
seguace della magia, sia cerimoniale che necromantica, che
considerava perfettamente lecite. Uno dei suoi interessi fu la
dottrina cabalistica circa la sorte dell'uomo, che poteva essere
indagata mediante la fisiognomica e soprattutto la chiromanzia,
poiché lo Zohar affermava che "le linee della mano sono
per l'uomo ciò che le stelle e gli altri corpi celesti sono per
il firmamento".
La più
importante scuola tedesca di cabala aveva sede a Worms ed era
stata fondata da Yehuda ben Samuel, un rabbino di Ratisbona;
quando morì, nel 1217, gli successe come direttore Eléazar ben
Juda Kalonymos, di una ricca famiglia di Magonza; egli fu una
delle vittime delle epurazioni anti-ebraiche, perché perse la
moglie, il figlio e le due figlie nel massacro di Worms; scrisse
opere di commento alla Bibbia che ebbero grande successo. Più
mago che cabalista puro, si occupò di pentacoli e di talismani
di protezione; gli fu attribuito un libro in cui erano rivelati
i nomi degli angeli ed il senso occulto delle lettere
dell'alfabeto, che venne studiato con grande attenzione dai
cabalisti rinascimentali, tra cui Pico della Mirandola.
Si deve invece
agli Arabi l’arrivo in Occidente dell’alchimia; le
maggiori città arabe, come Alessandria, Bagdad, Damasco,
Bassora, Samarcanda, Fez ed in Spagna Siviglia, Toledo e Cordova,
ospitavano scuole, biblioteche ed accademie di dotti. La Spagna
divenne il centro della cultura europea e lo rimase fino al
1400, quando fu sostituita dalle corti rinascimentali italiane e
francesi (2).
Molte leggende definiscono Ermete Trismegisto inventore
dell'alchimia; in realtà il più antico testo alchemico certo
risale al II secolo prima di Cristo: la Physika di Bolo
Democrito, nato a Mende, che analizzava gli aspetti
chimico-fisici dei metalli. Niente prova che l'alchimia in
Occidente sia precedente a questa data. La parola stessa ha
un'etimologia incerta: alcuni dicono che deriva da Al-Kimiya,
la chimica per eccellenza; altri che prende il nome dall'antica
definizione di Egitto, terra di Kemel, sostenendone l'origine
egiziana.
L'Alchimia
è l'arte di trasmutare metalli vili in metalli nobili; l'idea
che fosse possibile modificare profondamente la natura dei
metalli venne forse dalle prime osservazioni della chimica, che
fecero nascere illusioni circa i risultati dei trattamenti;
l'indagine verso le potenzialità dell'alchimia divenne
nettamente preponderante sulle ricerche chimiche fino al 1500,
quando l'arte della ricerca dell'oro alchemico si separò dalla
scienza chimica vera e propria. La chimica nega la
trasmutazione, che sarebbe attuabile solo se si riuscisse a
cambiare la struttura della materia; nonostante questo, da
secoli c'è chi prova ad ottenere l'oro alchemico e l'elisir che
dà l'immortalità, anche se il procedimento è tutto fuorché
facile, necessitando di un attrezzato laboratorio, e finora,
almeno all'apparenza, non è mai stato caratterizzato dal
successo. I saggi dicono che i metalli sono solo un simbolo e
che la vera trasmutazione non riguarda l'oro, facciata per gli
sciocchi e gli avidi, bensì l'anima umana; l'alchimia
diventerebbe allora un metodo per raggiungere la perfezione, il
cosiddetto "oro interiore", essendo l'oro materiale raro e
prezioso.
Il processo
alchemico viene anche chiamato Grande Opera, divisa in tre
parti: opera al nero (nigredo), che è lo stadio iniziale
corrispondente al caos della materia prima, che si annerisce
perché il fuoco comincia ad agire e mescola perfettamente tutti
gli elementi; l'opera al bianco (albedo), che consiste
nell'esporre al fuoco la materia prima annerita fino a farla
diventare bianca, segno che la vita ha preso il sopravvento
sulla morte; e l'opera al rosso (rubedo), che è l'ultimo
stadio e simboleggia l'unione del principio maschile con quello
femminile, entrambi uniti nella pietra filosofale, base per ogni
trasformazione alchemica. La pietra filosofale è la sostanza
capace di mutare in oro metalli vili; mescolata ad altri
ingredienti liquidi costituisce l'elisir di lunga vita, che dona
salute e longevità a chi lo beve; inoltre era l'ingrediente
principale per la costruzione dell'Homunculus, la
creatura fabbricata da alcuni maghi creandola dal nulla. Il più
ricercato dai mistici medievali fu l'elisir di lunga vita: in un
periodo in cui la vita media era di circa quarant'anni, una vita
lunghissima sembrava preferibile ad una esistenza breve e ricca.
Le ricette medievali parlano di ingredienti tanto stravaganti
quanto misteriosi, come lo "zucchero mercuriale", base della
mistura, oltre ad una sostanza contenuta nel cervello delle
aquile; il tutto doveva essere macerato nel vino con erbe
aromatiche e spezie come cannella, anice, radici di genziana e
pimento.
Ad accelerare i processi alchemici interveniva l'Alkahest,
il solvente universale, che veniva chiamato anche mercurio
filosofico, sostanza dal potere fluidificante.
Nell'immagine a lato,
"Gli Alchimisti" di Pietro Longhi (1701-1785). Assieme, Venezia,
Ca' Rezzonico
I primi libri
di alchimia comparvero nel III secolo d. C., quando fu
pubblicata un'enciclopedia in ventotto volumi, scritta da
Zosimo da Panopoli. Nato nella città egiziana di Panopoli,
l'odierna Akh-mim, egli visse ad Alessandria, dove studiò
l'ermetica e dove scrisse numerosi trattati, che gli valsero
l'appellativo di "Corona dei filosofi". Zosimo fu influenzato
dagli Gnostici, come si può vedere nelle sue Memorie autentiche,
in cui parlò di metafisica, alchimia e dei rapporti fra questa e
la magia; scrisse un manuale per costruire un alambicco a tre
punte, con numerose figure. La sua opera più famosa è Il libro
della virtù, che riporta l'intera simbologia in uso fra gli
alchimisti ed elenca le allegorie riferite alla religione
egiziana che tanta fortuna ebbero nei secoli seguenti.
I testi di
alchimia, provenienti da Alessandria d'Egitto, arrivarono fino a
Bisanzio ed a Jundi-Shaper, un'accademia di intellettuali
persiani, molto fiorente nel 700 d. C. Gli Arabi si dedicarono
con entusiasmo allo studio di questa materia. Il primo
alchimista arabo fu Khalid ibn Yazid (660-704); principe per
nascita, rifiutò di regnare, perché le manovre politiche lo
annoiavano ed i giochi di potere, con i loro crimini, lo
disgustavano; decise di dedicarsi allo studio e fu iniziato
all'alchimia da Morieno, discepolo del famoso alchimista Stefano
di Alessandria, che lavorava a Bisanzio sotto la protezione
dell'imperatore Eraclito I (610-641). Morieno viveva a
Gerusalemme come un eremita; Khalid non riusciva a trovare un
vero alchimista, perché era circondato da ciarlatani. Quando il
ciambellano di corte gli fece il nome del maestro, il principe
si recò subito da Morieno, che compì sotto i suoi occhi una
trasmutazione; Khalid ne fu felice, ma nello stesso tempo si
infuriò contro i falsi alchimisti e li fece giustiziare tutti.
Sconvolto da questa crudeltà, Morieno fuggì; il principe lo fece
ricercare dal suo servo Ghalib; trovatolo, gli chiese di
insegnargli l'alchimia, ma Morieno accettò solo a patto che il
principe si redimesse e giurasse di non compiere più atti di
barbarie. Khalid scrisse numerosi poemi, libri d'arte ed altri
di magia, oltre ad un libro di alchimia, Il libro della
saggezza, composto in versi.
Un altro famoso
alchimista fu Jabir ibn Hayyan, detto Geber; nato nel
721, figlio di un mercante di spezie del Khorasan, studiò il
Corano, la matematica e l'alchimia; membro di una confraternita
sufita, divenne alchimista della corte di Harun al Rashid. Nella
sua Summa perfectionis egli sottolineò che l'alchimia
aveva soprattutto una componente spirituale, pur non escludendo
applicazioni pratiche delle conoscenze alchemiche.
Nell'immagine
a lato,
"L'alchimista" di Joseph Wright of Derby (1734-1797). Olio su
tela, Derby, Art Gallery
Riprese i
quattro elementi aristotelici, cioè aria, acqua, terra e fuoco,
postulando quattro nature, caldo, freddo, secco e umido;
l'unione delle nature con le sostanze generava gli elementi. Nel
suo Libro degli equilibri si professò avversatore
dell'empirismo, via che portava al fallimento; costruì dei
quadrati magici di numeri, la cui somma era 17, poiché era
convinto che i metalli possedessero diciassette poteri; lasciò
molte opere, tradotte nel XII secolo da Gerardo da Cremona. Egli
si occupò anche dei metodi di raffinazione dei metalli e di
colorazione della seta. L'idea base degli alchimisti, cioè che
tutti i metalli fossero composti da zolfo e mercurio in quantità
variabile, è spiegata da Geber nel Compendio del perfetto
magistero (3).
"Il sole
(l'oro) è formato da mercurio molto sottile e da un poco di
zolfo purissimo, fisso e chiaro, che ha un colore rosso netto; e
siccome lo zolfo non è sempre colorato ugualmente, perché ve ne
è di più colorato e di meno, da ciò dipende se l'oro è più o
meno giallo. Quando lo zolfo è impuro, rozzo, rosso, livido, e
la maggior parte è fissa mentre una piccola parte non è fissa,
se si mischia con un mercurio impuro in parti uguali si formerà
Venere (il rame). Se lo zolfo possiede debole fissità e un
biancore impuro, se il mercurio è impuro ed ugualmente di
imperfetto biancore, dalla loro unione si formerà Giove (lo
stagno)".
Partendo da
questi presupposti, si trattava di variare le quantità per
ottenere i metalli che si volevano, con possibilità praticamente
infinite di combinazioni. Geber fu il primo a riferire questa
teoria, attribuendone la scoperta agli "antichi maestri". La
facoltà di trasformazione era nascosta in un seme, che formava
la materia generatrice; il vaso che conteneva le sostanze da
trasformare si chiamava uovo filosofico; la sostanza capace di
trasformare istantaneamente i metalli in oro era la pietra
filosofale; essa aveva "il colore dello zafferano, era pesante e
brillante come frammenti di vetro"; per Paracelso era invece
color rubino scuro, trasparente e malleabile; per altri era
"colore del papavero selvaggio, con odore di sale marino
calcinato". Khalid, per migliorare la confusa situazione, disse
che la pietra riuniva in sé tutti i colori ed era bianca, rossa,
gialla verde ed azzurro cielo.
Dopo Geber
praticamente tutti i sapienti arabi si occuparono di alchimia,
portando la disciplina nei paesi conquistati, in particolare in
Spagna, che fin dal IX secolo ebbe scuole a Siviglia, Cordova,
Toledo, Murcia e Granada. Tra i più noti ricordiamo Al-Kindi
(801-887), di origine beduina, che scrisse trattati di
astronomia, filosofia e musica; Abu Bakr Ar-Razi, nato nel
Khorasan come Geber attorno all'850, che da giovane si dedicò
alla musica, poi alla medicina ed alla fisica, indi intraprese
studi di filosofia e, dopo un viaggio in Egitto, cominciò a
praticare l'alchimia; la sua fama divenne tale che l'emiro
Almansour acconsentì ad attrezzargli un laboratorio per la
fabbricazione dell'oro alchemico, spendendo una cifra favolosa
del tutto inutilmente, perché Ar-Razi non riuscì nel suo
intento. Infuriato, l'emiro percosse l'alchimista con tale
violenza da accecarlo, poi lo scacciò dalla corte; morì
poverissimo nel 932, ma i suoi trattati di medicina e
sull'influenza dei pianeti sui metalli ebbero grande successo
per secoli.
Il persiano Abu Ali ibn Sina, detto Avicenna, nato nel
980, fu notissimo filosofo, medico e si occupò degli influssi
della mente sul corpo e della magia talismanica. Albumasar (Abu
Mashar), nato a Bagdad nell'805, scrisse libri di occultismo che
influenzarono tutta la magia del Medioevo; autore di due
ponderosi trattati di astrologia in otto volumi, Migliaia di
anni, dichiarò che il mondo era stato creato quando i sette
pianeti erano in congiunzione nel primo grado dell'Ariete e che
il mondo sarebbe finito quando i sette pianeti si fossero
ritrovati congiunti nell'ultimo grado dei Pesci.
Quando la
dominazione araba in Spagna finì, l'alchimia si diffuse in tutta
l'Europa. Però le speculazioni mistiche sull'alchimia
cominciarono solo dopo il XII secolo; prima ogni sforzo era
volto, molto prosaicamente, all'ottenimento dell'oro. Con
l'incontro tra la morale cristiana e l'alchimia, questa venne
stravolta e mischiata con concetti di teosofia: le operazioni
della Grande Opera alchemica vennero paragonate ai rapporti fra
anima e corpo, accomunati ai misteri della religione; la pietra
filosofale si arricchì di nuove capacità: divenne in grado di
dare saggezza e virtù, purificare lo spirito, allontanare dal
vizio, mettere sotto l'influsso della grazia divina, spogliare
l'uomo "dalla vana ambizione, la violenza, l'eccesso del
desiderio, la speranza, la gloria e la paura". Ne conseguiva,
ovviamente, che tutti i grandi saggi dell'antichità avevano
posseduto la pietra filosofale; alcuni arrivarono a dire che la
frase dell'Apocalisse: "Al vincitore donerò una pietra bianca"
voleva dire che Dio avrebbe dato la pietra filosofale ai buoni
cristiani. Perfino il critico Lutero elogiò l'alchimia "a causa
dei magnifici accostamenti offerti con la resurrezione dei morti
nell'ultimo giorno".
Uno dei più
famosi alchimisti medievali fu Arnaldo di Villanova
(1240-1313), medico e filosofo; nato in Catalogna, studiò a
Barcellona ed in Francia la medicina araba, l'astrologia e la
filosofia. Colpito da censura dell'università a Parigi, lasciò
la Francia per la corte aragonese in Sicilia, dove conobbe il
papa Bonifacio VIII, del quale divenne medico personale. Fu
proprio davanti al papa che compì una trasmutazione alchemica,
ricavando verghe d'oro purissimo. Gli si attribuiscono numerose
opere alchemiche, fra cui il Tesoro dei tesori, rosario dei
filosofi e massimo segreto di tutti i segreti, messo all'indice
perché si paragonavano le operazioni alchemiche con il
concepimento, la nascita e le opere di Cristo; la protezione
papale lo salvò dai rigori dell'Inquisizione, che però vietò le
sue opere. I suoi scritti apocalittici parlavano dell'imminente
fine del mondo, preceduta dall'avvento dell'Anticristo, a metà
del 1300.
Recatosi a Parigi, venne imprigionato; per intercessione di un
potente amico venne scarcerato, ma fu costretto a subire un
processo, che portò a bruciare i suoi libri; cercò di ottenere
la revoca della condanna, inviando al papa un suo libro privo
dei punti più controversi, ma la cosa non gli riuscì, perché i
vescovi francesi avevano già spedito al papa la versione
integrale; Bonifacio lo fece di nuovo incarcerare e gli mise di
fronte il dilemma: rogo o abiura. Per sua fortuna il pontefice
si ammalò; Arnaldo lo guarì ed il papa riconoscente lo liberò e
gli donò un piccolo castello, permettendogli di continuare le
sue ricerche fino alla morte.
Ramon Lull
(1233-1315), il cui nome venne italianizzato in Raimondo
Lullo, fu un filosofo e mistico spagnolo; sposato e padre di
tre figli, a trent'anni si fece frate francescano e cercò di
diffondere le idee del cristianesimo ai Musulmani, creando un
sistema esposto nell'Ars magna, che ipotizzava un ordine
universale di corrispondenze fra le cose. Fondò conventi e
scuole filosofiche. La leggenda si è impossessata di questo
personaggio, facendone lo scopritore dell'elisir di lunga vita.
Si dice che a trent'anni egli si innamorò a prima vista di una
bellissima dama italiana, Ambrosia del Castello, che aveva
notato nella cattedrale di Palma de Majorca. Entrato a cavallo
nella chiesa per farsi notare dalla dama, suscitò un enorme
scandalo. Mandò quindi un biglietto di scuse ad Ambrosia,
giustificandosi con una passione sovrumana, repentina e folle
che l'aveva colto al solo guardarla. La donna rispose che per
essere degna di questo amore sovrumano avrebbe dovuto possedere
il dono dell'immortalità. Raimondo non prese questo come un
cortese congedo, ma come un programma futuro: si ritirò allora
in solitudine, allo scopo di trovare la formula dell'elisir che
rendesse entrambi immortali. Ed un giorno seppe d'aver vinto;
con la fiala piena del liquido color rubino si presentò alla
porta della sua bella. Spiegò ad Ambrosia che aveva trovato
l'elisir e la scongiurò di berlo; ma la donna accese una lampada
e si slacciò l'abito: Raimondo non vide la bellissima che
l'aveva affascinato, ma una donna ormai vecchia, con le membra
corrose dal cancro, che anelava solo di morire presto: preso dai
suoi studi, non si era accorto che molti anni erano passati.
Impietosito, distrusse l'elisir e lasciò che Ambrosia trovasse
la pace della morte; egli fu invece costretto a restare vivo.
Vecchio e malconcio, ma immortale, Raimondo visse molte brutte
avventure e morì mille volte; un giorno a Tunisi si trovò in un
gruppo di Musulmani, che egli tentò di convertire al
Cristianesimo; per questo essi lo lapidarono. Passarono di lì
due mercanti genovesi, che videro una grande luce provenire dal
mucchio di pietre; stupiti, essi rimossero le pietre e videro il
corpo del povero Raimondo, ancora vivo. Pietosamente essi lo
medicarono e fecero rotta verso Palma di Majorca, per riportarlo
alla sua isola natale; e quando furono in vista della costa, Dio
gli concesse come premio per le sue azioni il dono della morte.
Tra gli
alchimisti inglesi ricordiamo Ruggero Bacone (1214-1292); nato
nel Somerset da una famiglia agiata, andata in rovina per motivi
politici, egli studiò dai Francescani e fu allievo di Pierre de
Maricourt, autore di uno dei primi trattati sulla calamita. Fu
uno dei promotori del metodo sperimentale e un alchimista; egli
distinse l'alchimia operativa da quella speculativa:
"L'alchimia
speculativa si occupa della generazione delle cose a partire
dagli elementi, di tutto ciò che è inanimato: umori semplici e
composti, pietre comuni e preziose, marmi, oro e altri metalli,
zolfo, sali e tinture, lapislazzuli, minio e altri colori, oli,
bitumi combustibili e un numero infinito di cose che non si
trovano menzionate né in Aristotele, né nei filosofi della
natura, né in alcuno dei latini. Questa scienza la maggior parte
degli studiosi non la conoscono affatto. Ma accanto a questa ce
n'è un'altra, che insegna a fabbricare i metalli nobili, i
colori e molte altre cose per mezzo dell'Arte, meglio o con
maggiore abbondanza di quanto non faccia la natura" (4).
Una leggenda
dice che Bacone, animato da spirito patriottico, si mise in
testa di costruire una muraglia di protezione attorno
all'Inghilterra, che impedisse le invasioni; forgiò allora una
testa d'ottone e vi chiuse dentro uno spirito. Prima di entrare
nella testa lo spirito avvertì Bacone di fare molta attenzione e
di sorvegliare la testa, perché questa avrebbe comunicato una
sola volta quando sarebbe arrivato il momento esatto per
iniziare la costruzione della magica muraglia. Bacone e l'amico
Bungey sorvegliarono la testa ininterrottamente per tre
settimane, notte e giorno; stanchi per le lunghe veglie,
decisero di concedersi un pisolino ristoratore, lasciando un
altro monaco di sorveglianza. Appena si furono addormentati, la
testa si animò: "E' il momento", disse in tono solenne. Il
monaco non ritenne opportuno disturbare i dormienti per così
poco; dopo mezz'ora la testa parlò di nuovo: "Era il momento".
Ancora il monaco lasciò dormire Bacone e dopo un'altra mezz'ora
la testa disse: "Il momento è passato" ed esplose in mille
pezzi. Il rumore svegliò Bacone, che si infuriò con lo stolto
monaco e gliele suonò con un bastone, ma l'occasione era ormai
perduta e la muraglia non poté mai più essere fatta.
Il più famoso
alchimista di tutti i tempi fu Nicholas Flamel; scrivano
parigino, come lo era stato suo padre, viveva una vita
tranquilla e noiosa redigendo atti ed inventari, tenendo i conti
di chi aveva minorenni sotto tutela. Un giorno comprò per pochi
soldi uno strano libro, che sembrava fatto di scorze d'albero
invece che di fogli, con una copertina di rame con figure e
lettere che egli non riuscì ad interpretare. Il testo era
scritto in latino; consisteva in
"tre volte
sette fogli, il settimo dei quali era sempre senza scrittura. Al
posto di esso, nel primo settimo era dipinta una verga con due
serpenti, che si inghiottivano; nel secondo settimo una croce
con un serpente crocifisso; nell'ultimo settimo erano dipinti
dei deserti in mezzo ai quali sgorgavano belle fontane e da cui
uscivano parecchi serpenti" (5).
Flamel tradusse
il testo latino: in esso l'autore, un ebreo astrologo e
filosofo, si rivolgeva ad altri Ebrei, "dispersi dall'ira di
Dio", dando loro indicazioni per fare la trasmutazione dei
metalli allo scopo di avere denaro per pagare i tributi
all'imperatore romano. Le indicazioni erano espresse in un
linguaggio ermetico basato sul simbolismo cabalistico; in
particolare non veniva citata la sostanza basilare da cui
partire. Flamel passò mesi studiando il libro, senza riuscire a
venirne a capo, finché la moglie Perrenelle non lo convinse a
mostrare le figure di alcuni fogli ai più dotti sapienti di
Parigi, che non ne capirono più di Flamel.
Continuando nella sua solita vita, egli passava però tutto il
suo tempo libero a fare esperimenti. Scoraggiato, dopo ventun
anni di tentativi decise di recarsi in Galizia al santuario di
san Giacomo da Compostella, per fare un voto, chiedendo di
trovare un decifratore. Di ritorno dal santuario, egli incontrò
un ebreo convertito, che gli spiegò il significato delle figure
e dei simboli della copertina e gli svelò il segreto della
sostanza base, poi morì di una repentina e misteriosa malattia.
Ma ormai Flamel era in grado di cominciare e, tornato a Parigi,
il 17 gennaio 1382 riuscì a produrre alchemicamente la prima
mezza libbra di argento puro dal mercurio, argento che poi
trasmutò in oro.
Flamel e la
moglie, essendo senza figli, decisero di investire i beni
ottenuti con l'alchimia in opere di misericordia: fecero
costruire due ospedali e tre cappelle, restaurarono sette
chiese, per non parlare della beneficenza fatta direttamente a
tutti coloro che ne avevano la necessità. Per tramandare in
qualche modo ai posteri le conoscenze apprese dal libro, Flamel
commissionò il restauro del cimitero degli Innocenti di Parigi,
facendo dipingere i segni del libro in forma di figure
geroglifiche, nascoste sotto un complicato simbolismo, in modo
che chi fosse in grado di capirne il senso potesse "portare a
termine, per gloria di Dio, il magistero di Hermes, che cambia
un uomo da cattivo a buono e gli toglie la radice di ogni
peccato, che è l'avarizia, rendendolo liberale, dolce, pio,
religioso e timorato di Dio" (6).
Devon
Scott
Il testo è
tratto da Tradizioni perdute di Devon Scott, edizioni
Lunaris.
Copyright, tutti i diritti riservati.
Note
bibliografiche
(1) Sulla Cabala si veda la voce omonima curata da Mario Dal
Pra sull’Enciclopedia Einaudi, volume secondo, Torino; La
Cabala di Henri Serouya, edizioni Mediterranee, Roma. I
principali testi cabalistici sono riuniti in Mistica ebraica
di autori vari, a cura di G. Busi ed E. Loewenthal, editrice
Einaudi, Torino.
(2)
Sull’alchimia
abbiamo consultato Scienze, arti e alchimia di Alberto
Cesare Ambesi, editrice Xenia, Milano; L’alchimia svelata
di Louis Figuer, editrice Basaia, Roma; Il chimico e
l’alchimista di Antonio di Meo, Editori Riuniti, Roma;
Studi sull’alchimia. Il segreto del fiore d’oro e altri scritti
di Carl Gustav Jung, editrice Boringhieri, Torino; Storia
delle scienze della natura di Stephen F. Mason, editrice
Feltrinelli, Milano; Le musée hermétique: alchimie et
mystique di Alexander Roob, editrice Taschen, Colonia.
Alcuni importanti testi di alchimia si trovano in Il libro di
Alchimia, editrice MEB, Padova; Lo specchio dell’alchimia
a cura di Sabina e Rosario Piccolini, editrice Mimesis, Milano.
(3)
Da Alchimia
di J. Fabricius, edizioni Mediterranee, Roma.
(4) Da La scienza sperimentale di Ruggero Bacone, a cura
di Francesco Bottin, editrice Rusconi, Milano.
(5)
Da Il libro
delle figure geroglifiche di Nicholas Flamel, edizioni
Mediterranee, Roma.
(6)
Da Il segreto
della polvere di proiezione. Prezioso dono di Dio-Il Giardino
delle ricchezze di Nicholas Flamel, edizioni Mediterranee,
Roma.