Fino a pochi decenni fa le nostre notizie sui Micenei erano
ricavate dai poemi omerici e dalle avventure di Heinrich
Schliemann, l'archeologo scopritore delle rovine di Troia e
delle cosiddette "Tombe degli Atridi" a Micene.
Le "Tavolette micenee" trovate fra le rovine della reggia
di Micene sono appunto tavole in argilla, scritte in "lineare
B", una forma di scrittura greca sillabica molto arcaica. Esse
rappresentano l'archivio di cui si servivano gli amministratori
dei palazzi: elenchi di beni, forniture, provviste, funzionari,
soldati, appannaggi per il re o per i nobili ed offerte agli
dei. Questi documenti ci sono pervenuti per caso, non essendo
certo destinati ai posteri, dato che nei primi mesi di ogni anno
venivano distrutte tutte le documentazioni burocratiche
dell'anno precedente. Ne abbiamo comunque tratto notizie
interessanti.
L'economia si basava sul commercio dell'olio di oliva, dei
tessuti di lino e di lana, sugli unguenti profumati e
sull'artigianato di lusso, con manufatti in oro, argento, ambra
e paste di vetro colorato.
Gli dei erano, in questo periodo arcaico, gli stessi della
Grecia classica, ma cambiavano le gerarchie: Poseidon, dio del
mare, e Demetra, dea della terra e della fecondità, erano i
principali, invece di Zeus e di sua moglie Hera.
Attorno al 1250 a. C. le città micenee si allearono contro
Troia, antica
città dalla posizione strategica importantissima, essendo
situata sulla costa dell'Anatolia, nello stretto che collega il
mare Egeo al Mar Nero.
Nell'immagine,
il "Giudizio di Paride", che fu all'origine della Guerra di
Troia, nel celebre quadro di Rubens
Omero ci parla della terribile guerra, durata dieci anni, cui
parteciparono attivamente anche gli stessi dei, come sostenitori
dell'una o dell'altra fazione. Annientata Troia (attorno al 1230
a.C.), cominciò la fine anche per le città della lega micenea:
Micene, Tirinto e Pilo furono parzialmente distrutte da incendi
ed abbandonate da gran parte della popolazione. L'Odissea, il
secondo poema omerico, dava un quadro di città agitate da odi,
da lotte intestine fra gruppi rivali. Il colpo di grazia lo
diede l'arrivo dei Dori, popolazione barbarica proveniente
dall'Epiro e dal nord dei Balcani; i Micenei non sopravvissero a
Troia più di un secolo.
Le nuove popolazioni del Nord, dette indoeuropee, erano
originarie delle pianure dell'Europa centro-settentrionale.
Erano genti rudi, selvagge, che vivevano di agricoltura e di
pastorizia.Si mossero in una vastissima migrazione, stabilendosi
nell'Asia occidentale, in India ed in Europa.
A partire dal 1150 a. C. cominciò un periodo di isolamento e di
povertà; durante questi quattro secoli, definiti "Medioevo
ellenico", guerre e razzie divennero all'ordine del giorno,
volute dall'oligarchia di proprietari terrieri. Si formarono
però anche le basi della religione e della cultura greca; fu
allora che nacque il mito di Orfeo, di cui parleremo in seguito.
Nell'ottavo
secolo cominciò il periodo aureo della civiltà greca, quello
definito "classico" e caratterizzato dalle città-stato. Il Greco
non era un individuo isolato; il filosofo Aristotele lo definì "uomo
politico", cioè uomo che vive nella polis, la città,
cardine della storia greca per la sua indipendenza ed
autosufficienza. In essa esistevano un luogo di culto comune, il
santuario, ed un'area di riunione, in cui tutti i cittadini si
incontravano ogni giorno. L'uomo greco cercava quindi il
rapporto con gli altri e trovava il suo benessere nell'ambiente
sociale che lo vedeva protagonista.
Il vincolo fra religione e società greca era molto stretto.
Molti storici concordano sul fatto che la stessa geografia della
Grecia, con vallate fertili alternate ad aspre montagne, caverne
ed anfratti, acque minerali e misteriosi vapori di origine
vulcanica, si sia prestata benissimo a fare da residenza agli
dei.
Il monte Parnaso era sacro ad Apollo, le querce di Dodona erano
le favorite di Zeus, che vi aveva posto perfino un oracolo, che
interpretava i segni che vedeva nel bosco di querce, come i
cambiamenti di colore delle foglie, il modo in cui la pioggia
cadeva sugli alberi, il modo in cui il vento muoveva i rami.
L'oracolo di Zeus Trofonio, che aveva scelto per sé grandi
caverne in cui rombavano le acque di un fiume sotterraneo,
traeva auspici dai sogni: chi voleva conoscere il futuro doveva
passare molti giorni ed altrettante notti fra i densi vapori ed
il rumore delle acque, arrivando ad uno stato particolare in cui
aveva visioni che i sacerdoti interpretavano.
Gli dei
principali del pantheon greco avevano la loro dimora sul
monte Olimpo. Zeus, padre di tutti gli dei, era il più
importante; dio della luce, del cielo, dei fenomeni atmosferici,
era raffigurato spesso con le mani piene di fulmini.
Sua moglie Hera, unica compagna legittima, era la protettrice
delle spose e delle madri, assisteva le partorienti e badava al
rispetto della moralità domestica, compito che richiedeva
davvero abilità sovrumane, poiché il suo divino sposo era noto
per le sue scappatelle e per la sua numerosa prole illegittima.
Il rapporto fra i due sommi dei era caratterizzato da continue
scenate di gelosia.
Fratello di Zeus era Posidone, dio del mare, che poteva
provocare terremoti picchiando il suolo col suo tridente; sua
sorella era Demetra, dea della fertilità, delle messi e della
terra coltivata, il cui mito era uno dei più importanti ed era
al centro del culto eleusino. Un'altra dea, sempre sorella di
Zeus, era Hestia, protettrice del focolare domestico e della
serenità familiare.
Atena era figlia di Zeus, nata dal suo stesso cervello senza
l'ausilio di una madre; per questo era la protettrice delle
scienze e della saggezza.
Ares, uno dei pochissimi figli legittimi di Zeus, era il dio
della guerra; con i suoi figli, Phobos (il timore) e Deimos (lo
spavento), imperversava sui campi di battaglia. Afrodite, dea
dell'amore, era nata dalle onde del mare vicino alle coste
dell'isola di Cipro; sposata ad Efesto, altro figlio di Zeus ed
Hera, dio del fuoco e dei metalli, essendo il marito bruttissimo
e deforme, non esitò a tradirlo col cognato Ares, da cui ebbe
Eros, il dio dell'amore.
Figli
dell'amore adulterino di Zeus con Latona erano i gemelli
Artemide ed Apollo; la prima era la vergine dea della caccia e
regnava su boschi, paludi e sorgenti, circondata dalle sue
Ninfe, proteggeva la fecondità di uomini ed animali, la nascita
e la giovinezza; era inoltre la dea della luna.
Apollo era un dio dalla bellezza straordinaria, tanto da
rappresentare l'ideale fisico dei Greci; era il protettore delle
arti, della musica, dell'armonia, dell'ordine, del diritto,
della pace e della purezza di costumi.
Era anche un dio-oracolo e dava i suoi responsi nel tempio di
Delfi, per mezzo di una sacerdotessa da lui invasata, la Pizia.
Il dono della profezia gli era stato dato dal drago-serpente
Pitone, figlio di Gea, la Terra; Apollo, ucciso il mostro, ne
aveva assunto i poteri divinatori. Un altro importantissimo
santuario era a Delo, un'isola in cui nessuno poteva nascere o
morire, per non contaminarne la purezza.
L'ultimo dio dell'Olimpo era Hermes, messaggero degli dei,
protettore dei viaggiatori, degli oratori e dei ladri. Figlio di
Zeus e
della ninfa Maia, conduceva le anime nel regno dell'oltretomba,
per cui veniva anche chiamato Psicopompo (accompagnatore di
anime); si devono tradizionalmente a lui le arti magiche, dette
anche "ermetiche" dal suo nome.
Nell'immagine a lato,
"La baccante" di Adolphe William Bouguereau (1825-1905)
Non esistevano soltanto gli dei dell'Olimpo; i Greci veneravano
anche Asclepio, dio della medicina, figlio di Apollo, che aveva
ad Epidauro un tempio molto importante, con un oracolo che
riguardava la salute; Ade, fratello di Zeus e dio
dell'Oltretomba; Kore-Persefone, sua sposa e figlia di Demetra;
Eris, dea della discordia, sorella di Ares, nota per aver messo
in palio una mela con sopra scritto "Alla più bella".
Hera, Afrodite ed Atena si erano contese il possesso della mela,
tutte certissime di essere la più avvenente delle dee. Paride,
figlio del re di Troia, chiamato a dare il proprio giudizio,
aveva assegnato la mela ad Afrodite, in cambio della promessa di
avere l'amore della più bella donna del mondo. Purtroppo per
lui, questa era risultata essere Elena, moglie di Menelao, re di
Sparta; i due amanti erano fuggiti insieme e per vendicare
l'affronto Menelao e suo fratello Agamennone avevano organizzato
la spedizione contro Troia.
Un dio molto
caro ai greci era Dioniso, protettore della vegetazione e del
vino. Frutto dell'amore fra Zeus e Semele, era costretto a
peregrinare continuamente per non incorrere nella vendetta di
Hera; egli viaggiava in allegria, con un codazzo di Satiri e di
Menadi, che danzavano, bevevano, suonavano il flauto e passavano
il tempo in ameni baccanali. Come Apollo era il dio della
misura, della moralità, della compostezza e dell'armonia,
Dioniso era il dio della sensualità, degli eccessi e delle
libagioni smodate: i suoi simboli erano infatti una coppa, un
tralcio di vite ed una verga. Dioniso era anche il protettore
del teatro, sia tragico che comico. Il culto del dio era alla
base dei misteri dionisiaci, che la leggenda vuole diffusi da
Orfeo.
Orfeo
era nato sulle montagne della Tracia; figlio di Eagro e della
musa Calliope, aveva ricevuto dal dio Apollo il dono della
musica e del canto, che erano così melodiosi da affascinare
chiunque, addomesticare belve feroci e fermare il corso dei
fiumi.
Orfeo sposò la bellissima Euridice, ma il giorno stesso delle
nozze la sposa morì, avendo messo un piede su un serpente nel
tentativo di sfuggire al pastore Aristeo, che era follemente
innamorato di lei e voleva violentarla per vendicarsi di Orfeo.
Questi non si rassegnò alla triste sorte e scese fino all'Ade
per riprendersi la sposa.
La discesa nel
mondo dei morti fu memorabile. Commosso dal suo canto, il
traghettatore di anime Caronte lo fece passare senza chiedere il
rituale obolo, i dannati interruppero i loro supplizi, gli
stessi dei Persefone ed Ade piansero calde lacrime e gli
concessero di riportare in terra l'amata; ma ad un patto: egli
non doveva mai voltarsi a guardarla, durante il viaggio per
tornare al mondo dei vivi.
Erano ormai in vista dell'uscita quando Orfeo, non sentendo più
i passi della moglie, volse preoccupato lo sguardo: giusto in
tempo per vederla diventare, di nuovo e per sempre, solo
un'ombra. Invano Orfeo supplicò di nuovo Caronte, invano rimase
sulla porta dell'Ade per sette giorni e sette notti: Euridice
non gli fu più ridata. Allora Orfeo partì per l'Egitto, dove
studiò la magia coi sacerdoti egiziani.
Tornato in
patria, egli si consacrò alla missione di recuperare i culti del
dio Dioniso. Egli indusse gli uomini della Tracia ad abbandonare
i culti sfrenati ed a respingere le lusinghe sessuali delle
Baccanti, che per questo, infuriate, lo uccisero, lo fecero a
pezzi e lo gettarono nel fiume Ebro.
Ma la sua testa giunse al mare fino all'isola di Lesbo, dove
venne conservata nel locale tempio di Dioniso; la sua lira fu
invece messa nel tempio di Apollo, ad ispirare altri cantori.
Ad Orfeo la leggenda attribuisce la fondazione dei Misteri
Orfici; in realtà l'orfismo, come dottrina, fece la sua comparsa
solo alla fine del V secolo a. C., quindi parecchi secoli dopo
la morte del leggendario eroe.
I Misteri,
caratteristici (2) dei Greci e di alcuni popoli orientali, erano
pratiche di culto, i cui rituali venivano tenuti rigorosamente
segreti. A questo proposito dobbiamo distinguere nettamente i
culti pubblici, volti alla propiziazione di un dio per ottenere
benefici terreni, da quelli iniziatici, che miravano ad ottenere
soddisfazioni più interiori e spirituali, con un diretto
rapporto fra colui che vi partecipava e la divinità. Soltanto
gli iniziati, i Mystoi, avevano accesso al Mistero.
Risalgono al principio del VII secolo i Misteri Eleusini,
derivati dal culto di Demetra-Persefone; sono i più noti ed i
più antichi culti misterici e venivano celebrati ad Eleusi,
nell'Attica.
Erano nati come una festa per il raccolto, in onore della dea
delle messi Demetra e di sua figlia Kore Persefone. Il mito
delle due dee era intimamente collegato alla terra: Persefone,
mentre passeggiava con le sue ancelle, era stata vista dal dio
dell'Aldilà, che se ne era subito innamorato e l'aveva rapita.
Nell'immagine a lato,
"Cerere e Pomona" nel quadro di Rubens: Cerere, la Demetra
latina, vi è raffigurata
con i frutti della terra che ella dona generosamente agli uomini
La madre, dopo
averla disperatamente cercata invano, aveva pregato Zeus, il
padre degli dei, di renderle la figlia. Ma ormai ella era già
sposata con Ade, per cui si venne al compromesso: per sei mesi
Persefone sarebbe rimasta nel mondo dei morti, per sei mesi
sarebbe tornata in terra con Demetra.
Madre e figlia si incontravano di nuovo ogni anno in primavera
ad Eleusi e qui sorse un tempio per commemorare la rinascita
della natura.
Come un chicco
di grano Persefone viveva sei mesi sotto terra e sei sopra: la
base del culto riguardava quindi la fertilità della terra e
l'agricoltura, ma col tempo finì con l'assumere caratteristiche
simboliche di morte e rinascita, di immortalità dell'anima.
I presupposti per ritornare ad una vita migliore dopo la morte
erano l'integrità morale e la purezza; i rituali che
consacravano i nuovi iniziati ponevano molta attenzione verso la
purificazione rituale (catarsi), indispensabile per
diventare membri della comunità eletta. A primavera si
celebravano i Piccoli Misteri di purificazione, in autunno i
Grandi Misteri di consacrazione, che duravano sette giorni e
comprendevano, oltre alle solite cerimonie di purificazione,
anche sacrifici, processioni, digiuno e riti di rinascita;
l'area in cui si celebravano era riservata ai soli iniziati,
pena la morte per i trasgressori. Il culto eleusino era portato
avanti da due famiglie, che avevano i poteri sacerdotali per
diritto ereditario.
La nascita
dell'Orfismo si pose in un contesto di profondi turbamenti della
società greca; dopo l'età d'oro della Polis e della espansione
coloniale, era subentrata una fase di crisi. La delusione e
l'insoddisfazione nei riguardi della vita suscitarono un senso
del peccato da espiare, che aveva bisogno di purificazioni e di
ascetismo.
Lo scopo dell'iniziato alle dottrine orfiche era di allontanare
da sé tutto ciò che era malvagio e terreno, per liberarsi dal
ciclo delle reincarnazioni; ricordiamo che questa
"reincarnazione" non è affatto simile al concetto che ne abbiamo
noi, preso dalle religioni dell'Estremo Oriente, bensì è una
"metempsicosi", cioè una trasmigrazione delle anime, che possono
entrare in un altro corpo umano quanto in uno animale.
La vita ascetica e virtuosa poteva accelerare le trasmigrazioni;
agli iniziati veniva insegnata una scrupolosa igiene personale,
oltre alla sobrietà ed all'astensione da cibi impuri, come la
carne, le uova ed i fagioli.
L'Orfismo era derivato dai Misteri Dionisiaci, con in più una
rivelazione, fatta da Orfeo, ed una organizzazione comunitaria
di eletti; i culti dionisiaci erano caratterizzati da rituali
orgiastici ed estatici.
Il mito narrava come Dioniso, che abbiamo già detto costretto a
peregrinare per evitare l'odio di Hera, fosse stato infine
raggiunto dalla vendetta della dea.
Ella aveva incaricato i feroci Titani di ucciderlo; invano il
dio si era tramutato in toro per nascondersi.
Raggiunto e riconosciuto, era stato ucciso e le sue carni
consumate in un banchetto; ma Zeus, furibondo per l'oltraggio
fatto a suo figlio, aveva incenerito i colpevoli con un fulmine:
dalle ceneri erano sorti gli uomini, mescolanza di elementi
titanici negativi e di elementi dionisiaci positivi.
I seguaci dei Misteri imitavano le peregrinazioni del dio,
ballando al ritmo selvaggio del ditirambo, bevendo ed entrando
in uno stato di ubriachezza estatica; essi erano convinti che
l'ossesso fosse invaso dallo spirito di Dioniso, tanto che la
parola "entusiasmarsi" significava "essere posseduti dal dio".
Nella foto,
una scultura con Bacco che danza preceduto da un Satiro e da una
Menade
La festa
rituale si concludeva con il sacrificio di un animale, che
veniva dilaniato con le mani nude dai partecipanti, che poi ne
mangiavano le carni crude: questo era un modo per ricordare la
morte del dio e per unirsi a lui misticamente.
Nei culti dionisiaci, e nei loro derivati culti orfici, c'è un
interessante elemento, del tutto originale rispetto alla
religione greca: il senso del castigo e della ricompensa, che
portava a sostenere che l'uomo era padrone del proprio destino
ed era la sua condotta a determinarne la sorte.
Devon Scott
Il
testo è tratto da Tradizioni perdute di Devon Scott,
edizioni Lunaris.
Copyright, tutti i diritti riservati.
Note
bibliografiche
(1) Le notizie sui Greci sono tratte da La civiltà della
Grecia arcaica e classica di Francois Chamoux, editrice
Sansoni, Firenze; da Storia della civiltà greca di Jacob
Burckhardt, editrice Sansoni, Firenze; da L'uomo greco di
Jean-Pierre Vernant, editrice Laterza, Bari; da La cultura
greca e le origini del pensiero europeo di Bruno Snell,
editrice Einaudi, Torino.
(2) Le notizie
sulla religione e sui culti sono tratti da Antichi culti
misterici di Walter Burkert, editrice Laterza, Bari; da I
miti greci di Robert Graves, editrice Longanesi, Milano.
Dal Portale esoterico–letterario
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