Il
potere del faraone era assoluto, ma non tirannico; il paese
poteva contare sull'unità politica e su di un sistema
burocratico capillare, che era un modello di efficienza e di
organizzazione, raggiungendo per mezzo di corrieri ogni angolo
del regno.
Gli stranieri non erano amati, ma comunque tollerati, purché
rispettassero gli dei dell'Egitto; avevano il beneficio di non
pagare tasse. Coloro che entravano in Egitto come profughi
dovevano invece fare una sorta di servizio civile, cioè lavoro
obbligatorio per un certo periodo, in cambio del privilegio di
risiedere nel paese; venivano ripagati in natura, con pane,
carne, pesce e cereali. Gli Ebrei erano fabbricatori di mattoni,
i Siriani lavoravano nelle cave come tagliapietre o nei campi
come braccianti, i Fenici erano abili costruttori di templi.
Tutti gli stranieri erano regolarmente censiti.
Nell'immagine sopra,
veduta del fiume Nilo
L'Egitto commerciava con molti paesi ed aveva contatti costanti
con persone di varie nazionalità; una scuola di scribi
interpreti redigeva documenti in accadico (la lingua dei
rapporti diplomatici e commerciali): atti di acquisto e vendita
di merci, relazioni, lettere, comunicazioni. A questi stessi
scribi dobbiamo interessanti traduzioni di miti babilonesi ed
anche di opere greche. Studiosi come Solone, Erodoto e Platone
viaggiarono per tutto il paese, senza problemi di lingua proprio
per merito degli interpreti; furono trattati tutti con
benevolenza, anche se con un po' di sufficienza, da un popolo il
cui Faraone si riteneva un dio in terra e il sovrano di tutto il
mondo conosciuto.
Nell'immagine
a lato,
ricostruzione di una sala del Tempio di Karnac (da foto di
Donald Mac Leish, 1928)
La onnipresente burocrazia egiziana, che ammassava montagne di
documenti negli archivi, ci ha lasciato in eredità numerosi
papiri, che hanno permesso la ricostruzione di parte della
storia dell'antico Egitto. Abbiamo anche moltissime
testimonianze circa il culto degli dei, sui riti funerari e
sulle credenze magico-religiose, e proprio la ricchezza del
materiale arrivato fino a noi ha alimentato la fama dell'Egitto
come culla della magia.
Era egiziano il più famoso mago di tutti i tempi, Ermete
Trismegisto, che in greco significa "tre volte grandissimo",
possessore della conoscenza delle tre parti dell'universo, con
poteri sul cielo, sulla terra e sul mondo dei morti.
Un'antica tradizione lo colloca attorno al 1300 a. C.; un'altra
lo identifica con un mitico re vissuto per più di tremila anni,
autore di ben trentaseimila libri di magia. Lo storico Giamblico
(III secolo d. C.) ridimensiona questo numero assurdo a "soli"
ventimila libri (2); Clemente Alessandrino, ben più
realisticamente, parla di una figura di saggio, poi mitizzato,
autore dei quarantadue libri sacri che venivano portati in
processione al tempio di Alessandria, una volta l'anno, in una
solenne cerimonia rituale. Questi libri erano divisi in sei
sezioni: rituali per i templi, educazione dei sacerdoti,
medicina, astrologia, inni in onore degli dei ed istruzioni per
i faraoni.
Il nome con cui è conosciuto gli fu dato dai Greci su modello
del loro dio della sapienza, Ermete, identificato col dio
egiziano Thot, che aveva alcuni compiti importantissimi:
presiedeva alla pesata delle anime dei morti, comunicando al
defunto se il responso lo metteva nel numero dei giusti e nella
gloria eterna di Osiride; scandiva il tempo delle alluvioni del
Nilo, da cui dipendeva la sopravvivenza del paese; inoltre aveva
il merito di aver inventato la scrittura geroglifica. Ermete
Trismegisto veniva considerato la fonte di ogni primitiva
sapienza iniziatica, poiché si credeva che avesse ereditato le
conoscenze segrete degli Atlantidei.
Nell'immagine a lato,
ingresso del Museo Egizio del Cairo
Ebbe un periodo di grande notorietà nel Rinascimento, quando fu
tradotto il Corpus Hermeticum (3) a lui attribuito;
quando però si scoprì che il testo non aveva migliaia di anni,
come si supponeva, ma risaliva ad alcuni secoli dopo Cristo,
molti misero in dubbio la realtà dell'esistenza di Ermete
Trismegisto.
Alcuni autori ne hanno parlato come di un uomo in carne ed ossa:
Platone, Diodoro Siculo, Tertulliano ed il famoso medico Galeno.
Resta in ogni caso una figura-simbolo delle conoscenze
esoteriche più elevate; a lui dobbiamo la Tavola di Smeraldo, un
importantissimo testo che la leggenda dice essere stato
rinvenuto in una grotta fra le mani della mummia di Ermete.
Oltre a questa nota opera, fu autore della Tavola di Rubino,
molto meno famosa ed ancora più ermetica, che in qualche modo
rovescia e completa il discorso della precedente tavola.
Chi visita un museo egizio può notare come gran parte dei
reperti sia costituita da oggetti religiosi e magici. La
magia (4) era infatti un elemento fondamentale della
religione, della cultura, della vita sociale e della politica;
esisteva addirittura un dio della magia, Heka, molto importante
nelle prime dinastie, anche se in seguito divenne un dio di
secondo piano. La magia era un dono fatto agli uomini dal dio Ra,
che l'aveva creata affinché essi avessero un'arma a loro
disposizione per tener lontano il braccio degli avvenimenti.
Gli dei stessi ricorrevano spesso alla magia, per aiutarsi nei
momenti critici; mentre i Greci ed i Romani avevano un concetto
del destino superiore a tutto, il "Fato" a cui anche gli dei
dovevano inchinarsi, per gli Egizi Shai, il destino, era guidato
dagli stessi dei: questo permetteva loro di liberarsi dalle
catene della predestinazione. Fu soprattutto questa particolare
caratteristica ad affascinare i Greci. La fede nella possibilità
di smuovere il mondo a proprio favore, influenzando anche il
caso, spinse gli Egiziani verso la magia, unica soluzione a
tutti i problemi, poiché poteva incatenare al proprio volere
anche gli dei.
Nell'immagine
a lato,
statua di uno scriba. Museo Egizio del Cairo
Per capire l'importanza della magia, si pensi che esistevano
scongiuri magici perfino per imbrogliare Osiride nel momento del
giudizio delle anime, confonderlo e fargli giudicare
benevolmente il defunto.
Per le necessità immediate del popolo c'erano i maghi da strada,
dalle funzioni molto simili a quelle delle odierne cartomanti;
scopo dei loro incantesimi era ottenere ciò che normalmente
veniva considerato irraggiungibile: l'amore non ricambiato, la
salute scomparsa, il denaro mancante.
Molto potente era la casta dei sacerdoti-maghi, Hekai, in
particolare i Lettori, che portavano i rotoli di papiro con i
rituali del culto dei morti. Sia Apuleio che Luciano ne danno
un'accurata descrizione: testa rasata, mantello bianco di tela e
fascia posta in diagonale sul petto.
I papiri erano conservati nelle "Case della vita"; esse
avevano sede nel tempio più importante o presso la reggia del
Faraone ed avevano molteplici funzioni: archiviazione di
documenti importanti, scrittura di testi di magia, istruzione
degli scribi e dei sacerdoti, conservazione di testi di
religione, musica, filosofia. Tutti coloro che ne hanno parlato
hanno affermato che le "Case della vita" erano il centro motore
del paese.
Nonostante le distruzioni compiute dal tempo e dagli uomini,
molti papiri si sono conservati fino ai giorni nostri, alcuni
antichissimi, scritti in lingua geroglifica, altri più recenti
in lingua demotica, che era una forma abbreviata e di più facile
scrittura dei geroglifici; altri ancora in copto, risalenti
all'epoca romana.
Per mezzo loro possiamo ricostruire la storia della magia
egizia, che si suddivide in tre grandi periodi.
Nell'Antico regno, che arrivava circa fino al 2300 a. C., la
magia era conosciuta soprattutto attraverso i Testi delle
Piramidi, incisi sulle pareti delle camere interne di alcune
piramidi.
Comprendevano testi religiosi e magici, nei quali si
faceva cenno a miti che in seguito sarebbero diventati
notissimi, come quello di Osiride, ed anche ad altri che
sarebbero poi rimasti sconosciuti. I sacerdoti usarono questi
rituali per la protezione e la felicità del faraone e della sua
famiglia nell'aldilà.
Nel Medio regno, dal 2200 al 1700 a. C. circa, ebbe grande
risalto la magia malefica, praticata dai sacerdoti contro i
nemici e le avversità, in difesa del faraone.
Appartiene a questo periodo il papiro medico di Kahun, che
riportava formulari contro varie malattie, tra cui le
parassitosi, molto comuni nei climi caldi, accanto a scongiuri
contro nemici e demoni. Il capo degli spiriti malvagi che
causavano malanni venne definito qui per la prima volta
l'Accusatore, nome che corrispondeva al greco diabolon,
diavolo.
Nell'immagine sopra, Papiro di Ani.
L'anima dello scriba Ani attende, umilmente china,
che venga pesato il cuore sulla sacra bilancia.
Sull'altro piatto, la piuma della verità (British Museum)
Poco tempo dopo fu scritto il papiro Ebers (databile attorno al
1600 a. C.), che riportava consigli medici, ma cominciava ad
eccedere nelle formule magiche. Da questo momento la magia
divenne l'elemento principale dei testi di medicina; ad esempio,
nel successivo papiro di Londra l'autore dimostrò chiaramente di
credere assai più negli scongiuri che non nella scienza medica.
Questo squilibrio verso la magia si spiega con gli eventi
socio-politici mutati. Cacciati gli Hyksos, i feroci pastori
guerrieri che avevano dominato l'Egitto per più di un secolo, il
Nuovo regno vide una casta sacerdotale potentissima, che voleva
ripristinare la posizione di privilegio del faraone
nell'aldilà.
Poiché i Testi delle Piramidi erano ormai noti a tutti,
nacque un nuovo documento, il Libro di Amduat; come
diceva la sua introduzione, il libro fu scritto in un luogo
segreto nell'aldilà e chi lo conosceva poteva aspirare ad un
destino eccezionale: il dio del sole sarebbe sempre stato
compagno del defunto. Per lungo tempo solo la famiglia reale
poté scrivere questo documento sul proprio sepolcro, mentre i
Testi delle Piramidi venivano scritti ormai su ogni tomba.
La
convinzione che ci fosse uno sfondo magico nell'aldilà fu
rafforzata anche dai sacerdoti del dio Amon, decisi a formare un
sistema statale teocratico. La cosa si rivelò più ardua del
previsto: il faraone, malgrado il rispetto per il dio e per i
suoi sacerdoti, cercava di arginarne il potere, che rischiava di
diventare illimitato, dato che erano i sacerdoti ad interpretare
il volere degli dei, che doveva essere legge per tutti. Fu
quindi permesso il culto di altre divinità, tra le quali alcune
straniere.
Queste affascinanti culture di altri paesi produssero un periodo
di crisi sociale ed ideologica, a cui diede grande impulso,
attorno al 1370 a. C., l'eresia monoteista di Amenhotep, che
cambiò il proprio nome in Akhenaton e trovò nel culto del
dio solare Aton il punto di unione di ogni religione.
Le altre divinità furono bandite, in particolare Amon ed i suoi
sacerdoti. Il faraone cancellò gli altri dei dalle iscrizioni,
facendo scrivere sulle pareti delle tombe, al posto dei sacri
testi, elogi ad Aton ed al faraone; poi costruì la nuova
capitale "Orizzonti di Aton" (l'odierna Tell el Amarna) ed
eliminò la magia dal culto dei morti.
La svolta verso il monoteismo non ebbe fortuna: il faraone era
sostenuto dal ceto medio emergente, ma aveva contro il clero e
l'aristocrazia, fortemente decisi a non perdere i propri
privilegi.
La lotta fra Aton ed Amon sfociò nel sangue di una guerra
civile; il
suo successore designato, il genero Smenkhkare, marito della
figlia maggiore, governò per brevissimo tempo insieme ad
Akhenaton, cercando col suocero di sistemare il regno, che era
nel caos più totale, ma morì dopo pochi mesi. Akhenaton lo seguì
quasi subito, avvelenato in una congiura di palazzo, e dopo di
lui venne Tutankhamon, marito della figlia minore, che
ristabilì gli antichi riti.
Nell'immagine a lato,
amuleto del tesoro di Tutankhamon
Questo faraone, sovrano di secondo piano, morto giovanissimo, il
cui unico intervento sullo stato fu di tornare al culto di Amon,
è sicuramente quello più famoso nel mondo per il ritrovamento
della sua tomba, avvenuto nel 1922 ad opera di Howard Carter e
lord Carnavon, e per la leggenda della maledizione che colpì gli
scopritori.
Nell'anticamera della sua tomba fu rinvenuta una tavoletta di
terracotta con la seguente iscrizione: "La morte colpirà con
le sue ali chiunque disturberà il sonno del faraone". La
tavoletta, che aveva destato la paura superstiziosa degli operai
addetti allo scavo, fu fatta sparire, ma un'altra maledizione
comparve, sotto una figura magica, nella camera principale della
tomba: "Sono io che respingo con la fiamma del deserto i predoni
delle tombe. Io proteggo il sepolcro di Tutankhamon"; quando i
partecipanti alla spedizione cominciarono a morire, nacque la
leggenda della maledizione (5) del faraone, che aveva
colpito i profanatori.
Nell'immagine a lato,
una foto storica:
Howard Carter (a sinistra) e Lord Carnavon posano davanti
all'ingresso semi–aperto della Tomba di Tutankhamon (foto H.
Burton per il "Times")
Lord Carnavon si ammalò all'improvviso di febbri altissime e
morì in meno di quindici giorni. Subito dopo l'archeologo
americano Arthur Mace, che era andato ad aiutare a buttar giù
l'ultimo pezzo di muro della tomba, si mise a letto, sentendosi
esausto, cadde in coma ed in poche ore morì.
Il miliardario americano Gould, che aveva aiutato l'amico
Carnavon con sovvenzioni, appena giunto a Luxor per vedere la
tomba fu colto dalla febbre e spirò entro la sera stessa.
In pochi anni morirono tredici persone, fra quelle che avevano
assistito all'apertura della tomba, ed altri nove scienziati che
si erano occupati del lato scientifico della scoperta.
Morì anche la moglie di Lord Carnavon, punta da un insetto
letale, poi il segretario di Carter, trovato rigido sul suo
letto alla mattina, mentre stava benissimo la sera prima; suo
padre, avuta la tragica notizia, si uccise gettandosi dal
settimo piano della sua casa londinese; mentre gli facevano il
funerale, il carro funebre investì ed uccise un ragazzo davanti
al cimitero.
E' ovvio che, se guardiamo tutto con occhi scettici, ogni morte
può essere considerata normale: gli incidenti capitano dovunque;
le febbri maligne non erano una novità e colpivano spesso gli
Europei in Africa; gli infarti improvvisi in persone giovani
sono rari, ma non impossibili; gli insetti possono dare in
persone allergiche violentissimi shock anafilattici, che portano
a morte. Però bisogna ammettere che ce n'era abbastanza perché
l'opinione pubblica prendesse sul serio la storia della
maledizione (per altre notizie sulla maledizione del faraone,
cliccate qui).
Gli Egiziani attribuivano un'enorme importanza al mondo dei
morti; la vita terrena era considerata breve, la vita
nell'oltretomba eterna. Per questo l'Egiziano, per quanto
miserabile potesse essere, si comprava il sepolcro, pagava un
sacerdote per i sacrifici da fare a se stesso una volta defunto,
e dotava la tomba di ogni comfort che permettesse una piacevole
vita nel mondo dei trapassati.
Sulle tombe venivano incise o dipinte maledizioni verso i
profanatori, preghiere di protezione per i parenti ancora vivi
dei defunti, formule magiche che permettessero le migliori
condizioni di vita nell'aldilà al morto. Nelle tombe si
mettevano le Ushebti, statuette raffiguranti
animali, che si animavano per magia e servivano il defunto.
Nell'immagine a lato,
sarcofago con una mummia. Museo Egizio del Cairo
La magia riforniva quindi i morti di un ricco corredo: modellini
di argilla e formule sostituivano gli oggetti d'uso quotidiano.
Le Ushebti venivano anche usate in magia nera; si narra che
Abaaner, ufficiale della guardia del faraone, avesse scoperto
che la moglie lo tradiva con un giovane soldato. Essendo un mago
molto esperto, Abaaner modellò nella cera la statuetta di un
coccodrillo e pronunciò un incantesimo. Diede poi la statuetta
ad un suo servo, che si recò sulla riva del Nilo e attese che il
soldato vi andasse, come tutti i giorni, per fare il bagno;
appena il soldato si fu immerso, il servo gettò nel fiume il
coccodrillo di cera: questo si animò per magia e divenne un
grosso e vivissimo coccodrillo, che aggredì il soldato e lo
divorò.
Gli Egiziani erano convinti che l'anima avesse bisogno del corpo
per sopravvivere, per cui cercarono tecniche di imbalsamazione
sempre più raffinate per permettere al corpo di ricongiungersi
all'anima nella sua forma migliore: "Io esisterò fino alla fine
con la mia carne e la mia anima", dice il Libro dei morti.
Formule magiche ed amuleti proteggevano il corpo perché potesse
unirsi ad Osiride, che l'avrebbe protetto per l'eternità dai
nemici e dagli spiriti maligni. Ai defunti si chiedevano
consigli e favori; per comunicare con loro si scrivevano lettere
o si incidevano le richieste sui vasi contenenti le offerte da
portare alle tombe. Chi li aveva offesi in vita scriveva loro
per chiedere perdono.
Il culto pubblico verso gli dei si svolgeva nei santuari,
durante le processioni e nei funerali solenni, ma il popolo
partecipava solo dall'esterno a gran parte delle cerimonie
sacre.
Malgrado questo, Erodoto disse giustamente (6) che gli Egiziani
erano i più religiosi fra gli uomini, perché dotati di un intimo
fervore, che li portava ad osservare regole di comportamento
morale non scritte, ma che tutti avevano ben chiare.
Il più amato fra i numerosissimi dei era Osiride, dio
della natura e
signore dell'universo; buono e pietoso, era stato ucciso dal
malvagio fratello Seth. La leggenda della sua morte, di origini
popolari, ebbe un tale successo che fu incorporata nella
religione ufficiale: Osiride era adorato e rispettato, perché
era un dio di carne, che aveva sofferto per il tradimento di suo
fratello, aveva conosciuto la morte, era stato richiamato in
vita dall'amore della sua sposa e vendicato dal figlio.
Nell'immagine a lato,
la dea Sekhmet. Esterno del Museo Egizio del Cairo
Era qualcuno in cui riconoscersi ed il popolo lo venerò fino
oltre l'epoca della dominazione romana.
Il mito di Osiride viene raccontato da vari autori, ma è forse
Plutarco a darcene la versione più completa ed organica
(7). Osiride era frutto dell'amore fra Geb, dio della terra, e
Nut, dea del cielo. Quando il dio del sole, Ra, si accorse del
tradimento della moglie col dio della terra, maledisse Nut,
condannandola a non partorire in nessun mese e in nessun anno.
Ma il dio Thot ricorse ad un espediente per aiutarla e, giocando
a dama con la Luna, guadagnò un settantaduesimo di ogni giorno;
con queste frazioni fabbricò cinque nuovi giorni, da aggiungere
ai 360 dell'anno egiziano. Questi giorni aggiunti fuori dal
calendario poterono sfuggire alla vendetta di Ra e permisero a
Nut di partorire Osiride.
Ma Osiride non era figlio unico: nel secondo giorno Nut partorì
Horus (detto "il vecchio" per distinguerlo dall'omonimo figlio
di Osiride), nel terzo Seth, nel quarto Iside e nel quinto
Nephtys. In seguito Osiride sposò Iside e Seth sposò Nephtys;
non ci si deve scandalizzare per il matrimonio di una sorella e
di un fratello: era pratica comune tra i faraoni, allo scopo di
mantenere puro il sangue della razza destinata a dominare.
Affidato ad Iside il governo dell'Egitto, viaggiò per
diffondere la civiltà per il mondo; tornato in patria, fu
onorato ed adorato come un dio.
Ma questo destò l'odio del fratello Seth, che cospirò contro di
lui con l'aiuto di settantadue congiurati. Costruito un cofano a
perfetta misura di Osiride, durante un banchetto ve lo fece
entrare con l'inganno e qui lo rinchiuse, gettando poi il cofano
nel Nilo.
Quando Iside seppe l'accaduto, si vestì a lutto e cominciò a
cercare il corpo del marito. Nelle sue peregrinazioni
l'accompagnavano sette scorpioni; un giorno chiese asilo ad una
donna che, impaurita dagli animali, non volle farla entrare in
casa. Uno degli scorpioni strisciò allora sotto la porta e punse
il figlio della donna; udendo i disperati pianti della madre sul
figlio morente, Iside si commosse e con potenti incantesimi
magici gli ridiede la salute.
Trovato il corpo di Osiride, Iside concepì con lui un figlio,
mentre sotto forma di sparviero volava sul corpo: nacque così
Horus Arpocrate, che fu subito nascosto dalla dea del Nord
all'ira dello zio Seth, che voleva ucciderlo.
Nel frattempo il cofano con il corpo del marito era arrivato,
portato dalla corrente, fino al mare della Siria. Qui Iside
giunse a ritirarlo; avendolo lasciato per qualche giorno, mentre
si recava a trovare il figlio Horus, ospite della dea del Nord,
il malvagio Seth se ne impadronì e, fatto a pezzi il cadavere,
ne sparse i resti in molti posti.
Iside dovette di nuovo rimettersi in cammino; ogni volta che
trovava un pezzo lo seppelliva, ed è per questo motivo che
esistono in Egitto tante tombe del dio (nel tempio di
Denderah una lunga iscrizione le elenca tutte). Mentre Iside
piangeva sul marito, Ra si commosse e lo fece ritornare in vita,
per regnare in eterno nell'Amenti, il mondo dei
morti.
Nell'immagine a lato,
affresco in una tomba della Valle dei Re
Esistono molte variazioni ed aggiunte a questa leggenda; è certo
che, dall'introduzione del mito di Osiride, ogni defunto poteva
identificarsi col dio e risorgere dalla morte alla vita eterna.
Questo mito era anche alla base di molte feste popolari; ad
esempio, quando il Nilo cominciava la piena si celebrava una
festa in onore di Iside: le acque erano il simbolo delle lacrime
della dea per la morte del suo sposo, che cadendo nel fiume ne
ingrossavano il corso. Nel periodo della semina, le cerimonie
avevano un tono luttuoso e triste: il corpo di Osiride, dio
della terra e del grano, veniva ferito dagli aratri ed il popolo
egiziano partecipava con le proprie lacrime al dolore del
generoso dio.
Osiride divenne quindi un dio duplice, della natura ed insieme
dei morti; gli erano sacri il djed, albero stilizzato che
simboleggiava la stabilità e l'equilibrio, ed il bastone con
un'estremità curva, detto "pastorale", emblema della fertilità e
simbolo del potere temporale.
Sua moglie Iside era protettrice delle donne, delle madri, della
famiglia, oltre che una maga, avendo appreso le conoscenze
occulte dal dio Thoth; il nome Iside significa "trono", per cui
la dea era raffigurata con una corona in testa a forma di trono.
Il suo simbolo era la cosiddetta "fibbia di Iside", simbolo del
legame tra madre e figli. Le statue la raffiguravano coperta da
un velo, con sotto la seguente iscrizione: "Io sono Iside.
Nessun mortale ha mai sollevato il mio velo".
Seth, il malvagio fratello di Osiride, era rappresentato con i
capelli rossi, per cui il rosso venne considerato sempre un
colore negativo nella magia egizia ed associato a rituali
malefici; egli era l'incarnazione delle forze del caos e della
distruzione, nemico della luce.
Nonostante fosse sua moglie, Nephthys lo abbandonò per aiutare
Iside; era la dea delle cose nascoste, dell'oscurità, della
ricettività psichica, della sensitività. Una leggenda antica
dice che sedusse Osiride, all'insaputa di Iside, partorendo poi
Anubis, il dio dalla forma di sciacallo, che proteggeva lo
spirito quando usciva dal corpo.
Nell'immagine a lato,
sarcofago di sacerdotessa egizia. Londra, British Museum
Horus, figlio di Osiride e di Iside, era il dio della
bellezza, della luce e maestro delle profezie; aveva anche il
potere di guarire dalle malattie fisiche, mentre sua sorella
Bast guariva da quelle mentali, facendosi aiutare dai gatti
sacri, suoi assistenti. Ai due dei era connesso un talismano, lo
Oudjat, che originariamente era detto occhio di Ra; il dio
l'aveva donato a Horus per guarire gli uomini ed egli a sua
volta lo prestava alla sorella quando ce n'era la necessità.
La moglie di Horus era Hathor, protettrice della bellezza
femminile e patrona dell'arte dell'astrologia; si diceva che
avesse inventato il trucco per migliorare l'aspetto delle donne.
Aveva una duplice natura: quella di Hathor, positiva e luminosa,
e quella di Sekhmet, dea guerriera negativa e distruttiva,
simbolo del fatto che l'energia pu˜ essere usata sia per il bene
che per il male. Ad Hathor era connesso uno strumento magico,
detto appunto "specchio di Hathor": era uno specchio doppio,
trasparente da un lato e smerigliato dall'altro, che serviva per
rimandare al mittente le onde malefiche quando si era oggetto di
malocchio.
Il dio delle conoscenze magiche più elevate era Thoth,
figlio primogenito di Ra, il dio del sole progenitore di tutti
gli dei. Egli non era solo il depositario della sapienza
occulta; era anche il dio della saggezza, patrono della storia,
conservatore degli archivi dell'umanità, messaggero degli dei ed
era anche colui che aveva insegnato agli uomini l'arte della
costruzione. A lui era connesso il "caduceo", una bacchetta con
due serpenti intrecciati, simbolo del controllo sugli istinti e
sullo spirito, oltre che portatore di guarigione.
Con Ramsete XI finì il Nuovo Regno e l'Egitto entrò in quella
che si chiama Bassa Epoca, che vide l'inizio della lenta
disintegrazione dello stato egiziano. Sul trono, a reggere la
corona bianca dell'Alto Egitto e la corona rossa del Basso
Egitto, sedettero sovrani deboli ed incapaci, molti dei quali
stranieri, etiopi, nubiani, libici, fino alla dominazione dei
Persiani, che finì con la conquista da parte di Alessandro
Magno, salutato come un liberatore.
Il disordine politico si rifletté sulle pratiche magiche del
periodo: comparve la necromanzia, che consentiva di interrogare
i defunti per conoscere il futuro, ed ebbero grande diffusione
gli incantesimi di bassa magia, con il loro codazzo di filtri
d'amore, veleni, elisir di lunga vita, amuleti contro il
malocchio.
Si evocavano morti e vivi, spiriti e dei, si chiedeva il loro
aiuto per liberarsi dalle forze del male, dagli "operatori
funesti che portano lutti e malattie". Se nessuna misura di
difesa funzionava, si poteva sempre andare a passare la notte
nel recinto di un tempio, aspettando che qualche dio benevolo
mandasse un sogno "per indicare la strada a chi non può vedere
nel futuro".
Gli amuleti più comuni erano lo scarabeo, simbolo solare di
vita, l'occhio di Ra, tutela contro il malocchio, la stregoneria
ed i morsi dei serpenti, le statuette del dio nano Ptah-Pateco o
di Bes, utilissime per le partorienti, l'occhio di Horus,
rimedio infallibile contro la febbre. Il materiale più usato era
la maiolica, oltre a pietre più costose come la corniola ed il
diaspro; se ne vendeva una tale quantità che i Greci costruirono
una fabbrica di amuleti a Naucratis, sul delta del Nilo,
distribuendo poi i loro prodotti in tutta l'area del
Mediterraneo.
Grazie a questo commercio ed all'ammirazione dei Greci per tutto
quel che riguardava l'Egitto, si ebbe la diffusione dei culti
egiziani a gran parte dei paesi che si affacciavano sul mare.
Medici, guaritori e stregoni, in trasferta sulle coste greche ed
italiane, portarono i loro amuleti, i loro dei, i loro rituali e
la loro farmacopea. Maghi ed astrologi operavano ufficialmente a
Roma, esercitando i loro poteri per il benessere della comunità.
L'influenza della cultura magica egizia resistette perfino alle
successive persecuzioni contro la stregoneria ed ebbe un
costante successo fino alle soglie del Medio.
Devon Scott
Il testo è
tratto da Tradizioni perdute di Devon Scott, edizioni
Lunaris.
Copyright, tutti i diritti riservati.
Note
bibliografiche
(1) Le notizie sulla storia dell'antico Egitto sono tratte
da La civiltà dell'antico Egitto di J. A. Wilson,
editrice Mondadori, Milano; da La religione dell'antico
Egitto a cura di Sergio Donadoni, editrice Laterza, Bari; da
L'uomo egiziano dello stesso autore, editrice Laterza,
Bari; da Vita quotidiana degli Egizi di Franco Cimmino,
editrice Rusconi, Milano.
(2) Da I
misteri egiziani di Giamblico, editrice Rusconi, Milano.
(3) Da
Ermete Trismegisto, la pupilla del mondo a cura di Chiara
Poltronieri, con introduzione di G. Filoramo, editrice Marsilio,
Venezia.
(4) Le
parti sulla magia degli Egizi sono tratte da Magia egizia
di Murry Hope, edizioni Mediterranee, Roma; da La magia in
Egitto di Laszlo Kakosy, editrice Panini, Modena. Le parti
sul simbolismo magico sono tratte da Enciclopedia dei simboli
di Hans Biedermann, editrice Garzanti, Milano; da Dizionario
dei simboli (due voll.) di J. Chevalier e A. Gheerbrant,
editrice Rizzoli, Milano.
(5) Il
ritrovamento della tomba del faraone è narrato in Tutankhamen
dello stesso archeologo Howard Carter, editrice Garzanti,
Milano; un'altra versione si trova in Alla scoperta della
tomba di Tutankhamun di H. Winstone, editrice Newton, Roma;
la storia della maledizione è tratta da La maledizione dei
faraoni di Philipp Vandenberg, editrice SugarCo, Milano.
(6) Da
La magie di P. Charvet e A. Ozanam, editrice Nil Editions,
Parigi.
(7) Il mito
di Osiride nella versione di Plutarco è riportato per intero in
Il ramo d'oro di James G. Frazer, editrice Boringhieri,
Torino.