Comunque la si
definisca, la magia ha costituito un potere fin dal suo primo
apparire; il concetto che il mago possieda la conoscenza dei
rapporti fra causa ed effetto ed abbia le capacità di usare
questi rapporti per asservire la natura, realizzando ciò che la
gente comune non può fare, è rimasto inalterato per millenni.
Volendo, tutto quello che non si può spiegare razionalmente con
le conoscenze di un certo periodo storico potrebbe essere
considerato un atto magico: basta ricordare il terrore
superstizioso dei nostri antenati per un semplice fenomeno
fisico come l'eclisse. Cambiano i tempi, le scoperte
scientifiche aprono nuovi orizzonti, ma il fascino della magia
resta intatto. Perché?
Lo storico Richard Cavendish ha detto che il pensiero magico "è
un tipo di pensiero prevalente per gran parte della storia
d'Europa, che si stende dietro vaste aree della religione, della
filosofia e della letteratura e che costituisce una delle
principali guide verso le regioni del soprannaturale e dello
spirituale, sulle quali la scienza non ha nulla da dire. Non è
necessario accettarlo: ma è indubbio che esso fa squillare
lontani segnali di richiamo nelle profondità della mente"
(2).
Francesco
Bacone sosteneva che la magia era tanto lontana dalla scienza
quanto la leggenda di re Artù era lontana dai Commentarii
di Cesare (3); può anche essere vero, ma converrete con noi che
è ben più affascinante la saga di Artù e dei Cavalieri della
Tavola Rotonda che non il resoconto della guerra condotta dai
Romani nelle Gallie, anche se fa parte della nostra storia.
Ed infatti ci interessiamo di magia un po' tutti, per curiosità,
per il bisogno di trascendenza che c'è in ciascuno di noi, o
perché siamo circondati da cose che non riusciamo a capire, né
tanto meno a controllare. Progrediamo continuamente a livello
tecnologico, ma sul nostro destino personale non possiamo molto
di più dei nostri antenati nelle caverne: continua a sembrarci
oscuro e a volte terribile.
Nel disegno sopra,
contrapposizione tra magia bianca e magia nera
La magia nasce
proprio dal bisogno di appellarsi a qualcosa di superiore, che
può tutto; di fronte agli eventi spiacevoli della nostra vita,
che sono moltissimi (abbiamo solo l'imbarazzo della scelta), noi
cerchiamo aiuto. In ogni epoca l'uomo ha avuto sempre tre metodi
per porre rimedio alla sua paura di vivere; il primo è la
religione, l'affidarsi alla Divina Provvidenza; il secondo è
tentare di controllare l'ambiente con mezzi tecnologici e
scientifici; il terzo è ricorrere alla magia. Giusto o no,
quest'ultimo è quello che ha avuto, nei secoli, maggior
successo.
Quando siamo infelici possiamo rassegnarci alla sorte infausta,
infuriarci, lamentarci, piangere, anche pregare, se è vero che
la fede smuove le montagne. Ma se abbiamo paura che le nostre
preghiere restino inascoltate? A questo punto entra in gioco il
mago: chi sa resistere alla tentazione di diventare padrone del
proprio futuro, quando il prezzo da pagare non è che quello di
un piccolo rituale? Il rituale magico ci protegge, ci aiuta, ci
ridona la salute perduta, ci riavvicina la persona amata, ci
procura denaro e felicità. E se non riesce a farlo, almeno ci
regala la speranza e la forza di tirare avanti ancora un po',
magari finché le cose non si sistemano da sole.
Dall'inizio
degli anni Settanta c'è stato un vero e proprio revival del
paranormale; è cresciuto in proporzione geometrica il numero dei
maghi, degli astrologi, dei gruppi di studio, dei corsi di
esoterismo. Questo termine ha assunto un significato molto
generico e vi si fanno rientrare le cose più disparate: fatture
e controfatture, lettura della mano, divinazione con la sfera di
cristallo, malocchio, spiritismo, ufologia, incontri con
extraterrestri, pranoterapia, rituali di sesso e sangue di cui
abbonda un certo cinema, lettura dei fondi di caffè, società
segrete, usanze di tribù che vivono isolate dalla civiltà,
radiestesia, satanismo, filosofie orientaleggianti, amuleti,
talismani e molte altre cose ancora: il tutto mescolato in un
informe groviglio a cui viene appiccicata l'etichetta di
articolo occulto.
Lo storico
inglese Lawrence Stone ha detto che il ritorno in auge della
magia in questi ultimi anni è dovuto al fatto che viviamo "sul
filo del rasoio di una società tecnotronica, razionale,
impersonale, governata dal computer, efficiente, ma sterile, che
non lascia spazio alle emozioni, all'amore, alla compassione, né
al senso del mistero e della meraviglia, che sono alla radice di
tutta la grande letteratura, dell'arte e della musica" (4).
Sono molti a credere che l'uomo, alienato dalla società
industriale in cui vive, si rivolga alla magia per modificare
una realtà che gli è diventata estranea e nella quale non si
riconosce. Le scoperte scientifiche, che in teoria dovrebbero
eliminare la magia, sono invece costrette a coesistere con la
superstizione; gli scienziati passano la vita sostituendo la
realtà all'illusione, per cui l'eccesso di certezze deve in
qualche modo essere contrastato da un antidoto di natura
fantastica.
Ed è forse
proprio per questi motivi che, anche se non lo vorremmo, ci
crediamo, perché la magia è più vicina al nostro cuore ed alla
nostra mente di quanto lo siano la logica e la ragione, quando
lottiamo contro l'impossibile, contro le avversità, quando
rifiutiamo di sentirci sconfitti, quando ci ribelliamo ad una
sorte che sembra essere già segnata e combattiamo con la sola
forza della nostra volontà.
LA MAGIA NEL
MONDO ANTICO
Narra una
leggenda che migliaia di anni fa "Uomini di cristallo" scesero
dalle stelle per stabilirsi a Thule, una terra vicina al
Polo Nord. Questi saggi maestri furono l'elemento di equilibrio
fra i primi abitatori della Terra; con le loro conoscenze
tecnologiche impedirono ai grandi cataclismi di distruggere il
pianeta e gli uomini che lo popolavano; per merito loro
l'umanità conobbe una vera "età dell'oro".
Ma alcuni di questi saggi si lasciarono sedurre dalla magia nera
e convinsero gli indigeni a ribellarsi ai Maghi Bianchi: lo
scontro distrusse Thule e pose fine al periodo felice.
I pochi
sopravvissuti si rifugiarono in un'isola chiamata Iperborea,
nome che significa "al di là di Boreas", il vento del Nord,
posta fra l'Islanda e la Groenlandia.
Diodoro Siculo (5) scrisse che l'isola aveva dimensioni simili
alla Sicilia; era una terra fertile e feconda, dotata di un
clima meravigliosamente temperato, tanto da produrre due
raccolti all'anno. Vi erano montagne trasparenti come diamanti,
regnava sempre un piacevole calore ed i fiori profumavano
l'aria; gli abitanti erano bellissimi e molto longevi. Alcuni
erano perfino dotati di chiaroveggenza, dono dato loro da
Apollo, il dio greco che gli Iperborei veneravano sopra ogni
altro, che visitava l'isola ogni diciannove anni, "quando si
completa il ritorno delle stelle allo stesso posto nella loro
orbita", accolto con danze e canti dagli abitanti.
Un giorno terribile un'immane catastrofe spazzò via Iperborea:
una meteorite provocò un violentissimo e repentino
raffreddamento, e quel paradiso terrestre scomparve sotto i
ghiacci.
La concezione
di una razza primordiale venuta dalle stelle, portatrice di una
spiritualità trascendente e del bagaglio delle conoscenze
"magiche", è comune a molti popoli.
Atlantide, Thule ed Iperborea sono miti nati in Occidente, ma ce
ne sono di simili anche nella tradizione orientale, come
Mu-Lemuria, il continente scomparso situato fra l'Asia e
l'America, del quale l'Australia, l'Isola di Pasqua, le Hawai e
la Polinesia sarebbero un residuo.
I racconti di terre misteriose, nascoste ai più o scomparse
nella notte dei tempi, si trovano nel folklore di vari paesi e
con tratti inspiegabilmente costanti, malgrado la diversità
delle civiltà in cui si sono sviluppati: sono tutti paradisi,
terre ricchissime, che godono di un clima salubre e favorevole
allo sviluppo dell'agricoltura; gli abitanti sono tutti belli e
longevi, dotati di poteri mentali particolari; il governo è
illuminato e vive in armonia ed in pace con tutti.
Le leggende sui
visitatori venuti migliaia di anni fa dalle stelle parlano
sempre dei buoni e timorosi indigeni che li hanno accolti con
tutti gli onori e considerati come dei. Ma quanti anni ha
l'uomo?
In Europa si sono trovati resti di individui del genere homo
sapiens, risalenti a 250.000 anni fa; ma l'uomo che più si
avvicina a quello di concezione moderna ha "soltanto" 40.000
anni. L'uomo preistorico, vissuto cioè nel periodo che
precede l'uso dei metalli, usava solo strumenti di pietra e
sulla pietra incideva e dipingeva. Organizzato in piccole tribù,
la sua vita dipendeva dalla caccia; era una vita nomade, poiché
egli era costretto a spostarsi per seguire le migrazioni degli
animali che gli fornivano cibo per nutrirsi e pelli per
coprirsi. Il suo unico imperativo era la sopravvivenza di se
stesso, della propria prole e della propria tribù.
Nell'immagine a lato,
un bisonte dipinto sulla roccia (grotte di Altamira)
Le pitture
rupestri di questo periodo rappresentavano scene di caccia. A
che scopo l'uomo del Paleolitico si prendeva la briga di
dipingerle? Lo storico dell'arte Arnold Hauser afferma che (6)
la pittura era per l'uomo preistorico "una prassi magica:
nell'immagine da lui dipinta il cacciatore credeva di possedere
la cosa stessa; credeva che l'animale vero subisse l'uccisione
eseguita sull'animale dipinto".
L'inseguimento e la cattura della preda incisi sulle pareti
della sua caverna non erano altro che "l'anticipazione
dell'effetto desiderato; l'avvenimento reale doveva seguire il
modello magico. Non si trattava, quindi, di sostituzioni
simboliche, ma di vere azioni dirette ad uno scopo, atti reali
che ottenevano effetti reali".
Le immagini erano una specie di trappola in cui la preda era
destinata a cadere. Lo stesso scopo magico avevano le danze
nelle quali i partecipanti indossavano maschere d'animale e
fingevano una cattura ed un'uccisione "in effigie" della preda.
La pittura del paleolitico viene chiamata naturalistica per la
sua aderenza con la realtà: avendo uno scopo magico, il modello
doveva avvicinarsi il più possibile a quello reale.
Col periodo
Neolitico, 7000 anni avanti Cristo, l'uomo cominciò a darsi
le prime forme articolate di organizzazione sociale.
Scoperte le possibilità dell'agricoltura e dell'addomesticamento
degli animali a lui utili, decadde la necessità di spostarsi
continuamente. I raccolti consentirono di immagazzinare scorte;
si divisero i compiti fra i membri del clan, si ebbe il primo
artigianato della ceramica.
Nacquero forme di culto più complesse, che abbisognavano di
idoli e suppellettili funerarie, di amuleti protettivi e di
simboli sacri; si svilupparono riti utili al gruppo, come quelli
per aumentare la fertilità della terra.
Il Neolitico
viene considerato un enorme passo avanti compiuto in tempo
relativamente breve dall'uomo verso la civiltà; il Paleolitico
medio, per esempio, si protrasse per 70.000 anni, mentre il
Neolitico ne durò solo tremila, per sfociare nell'età del rame,
la più antica delle età dei metalli. Nell'area mediterranea
furono i popoli della Mesopotamia che scoprirono e
padroneggiarono le tecniche della lavorazione dei metalli,
quattromila anni prima di Cristo. Il primo fu il rame nativo,
che poteva essere lavorato a freddo; vennero poi il bronzo ed il
ferro. Con l'età del rame e con l'invenzione dei primi tipi di
scrittura (detta "pittografica" perché formata da
disegni indicanti l'oggetto descritto o il simbolo
corrispondente) finisce la preistoria, che è la storia
dell'umanità intera, e comincia la storia dei popoli e degli
individui.
Devon Scott
Il testo è tratto da
Tradizioni perdute di Devon Scott, edizioni Lunaris.
Copyright, tutti i diritti riservati.
Note bibliografiche
(1) Da Magick di Aleister Crowley, editrice
Astrolabio, Roma.
(2) Da La magia nera
di Richard Cavendish (due voll.), edizioni Mediterranee, Roma.
(3) Da Scritti
filosofici di Francesco Bacone, a cura di Paolo Rossi,
editrice UTET, Torino.
(4) Da Viaggio nella
storia di Lawrence Stone, editrice Laterza, Bari.
(5) Da Storia
universale di Diodoro Siculo, editrice Orsa Maggiore, Forlì.
(6) Da Storia sociale
dell'arte di Arnold Hauser, editrice Einaudi, Torino.