SULLA
RITUALITÀ MARTINISTA
DESFEDAM S:. I:.
Quante eccelse, pseudo
personalità, fini dicitori del grande nulla, si sono affannate nel
ricercare una possibile distonia sul significato recondito del Sacro
Nome J. H. S. V H. usato dai Martinisti.
Il grande Savino Savini nella rivista Ignis dell'Aprile/Maggio 1925
termina il suo articolo, rivolto al popolo Martinista, con le
seguenti parole: "non devesi investigare quelle cose per iscoprire
le quali non si hanno gli opportuni mezzi". Non molto prima del
finale così si esprime "se ai Martinisti non sembrassero troppo
documentate queste risposte, (quelle dell'articolo sul nome di GESÙ)
cerchino le pezze d'appoggio rileggendosi, con accurata attenzione,
tutto questo mio scritto e magari completandolo per conto loro"
(cosa che ho provveduto a fare appena venuto a conoscenza dello
scritto in questione); si ricordino però sempre che il Talmud porta
questa sentenza: "Il silenzio è ornamento pei saggi, ed ancor più
per gli stolti". Parole veritiere che come un boomerang si
ritorcono, come vedremo, al mittente! Peccato che non essendo più
tra noi il Savini non possa avere la possibilità di comprendere
quante fesserie ha scritto credendo bastasse avere la conoscenza
della lingua ebraica, per sputare sentenze sull'Ordine Martinista.
Il Savini, al suo tempo, ha tradotto dall'ebraico il Sepher Jetzirah
(ed. R. Carabba aprile 1938), commettendo errori così madornali da
rendere stupida e inutile la sua fatica. Riporto i punti sbagliati
del suo libercolo: Pag.67) Egli fece regnare Pe sulla potenza e legò
a lui una corona e purificò questo con quello e formò con essi Nogah
= Venere (sic) nell'universo e il quinto giorno nell'anno e la
narice destra nell'organismo maschio e femmina.
Nelle traduzioni serie così è scritto: fece regnare Pe sulla potenza
e legò su di essa una corona, fuse questa e quella e formò con
queste Mercurio nell'universo, il quinto giorno nell'anno e
l'orecchio sinistro nel corpo dell'uomo e della donna. Pag.66) Egli
fece regnare il segno Daleth sulla generazione e legò a lui una
corona e purificò questo con quello e formò con essi Maadim = Marte
(sic) nell'universo, il terzo giorno nell'anno e l'orecchio destro
nell'organismo dell'uomo e della donna. Anche in questo caso
sbaglia! Così è scritto: fece regnare Daleth sulla fecondità e legò
su di lei una corona, fuse questa e quella e formò con queste il
sole nell'universo, il terzo giorno nell'anno e la narice destra nel
corpo dell'uomo e della donna.
Per farla breve, il Savini si era dimenticato, oppure non aveva
conoscenza, di una fase molto importante: il passaggio attraverso la
NUN, e per aggiustare le cose le ha tutte sbagliate.
Sono, infatti, errate le sequenze e le fasi, oltre a quelle
brevemente menzionate, relative ai segni: Teth; Jod; Lamed; Samec;
Ajn. Questo sarebbe il grande esperto di cose esoteriche che si
permette di denigrare l'Ordine Martinista.
(1)
Nel suo articolo, tra l'altro, il Savini si riferiva al
tetragrammaton Y H. V H. come nome attribuito a1 Nazareno. Tutta la
diatriba si diparte dal fatto che un certo Reuchlin, vissuto nel XV
secolo, nel suo scritto "De arte cabalistica libris tres" per chissà
quale abbaglio, riporta in questo modo il nome ineffabile: CUM SE
ARBITRENTUR NOMEN TETRAGRAMMATON LONGE RECITUS PRONUNTIARE IN NOMINE
LH.S.V H. VERI MESSIA.
Par molto strano che una persona d'elevata cultura non sapesse
distinguere il valore numerico delle parole tetragramma e
pentagramma: denuncia il Savini! "Nella bella compagnia d'ignoranti,
aggiungiamo noi, si trovavano personaggi come Pico della Mirandola;
Stanislao de Guaita; Saint Martin; Cornelio Agrippa; Papus; Vincenzo
Soro; il gesuita Attanasio Kichel; Bricaud; Bornia; per terminare
con Alessandro Sacchi, al tempo della critica, Gran Maestro
dell'Ordine Martinista". Cercheremo noi di chiarire una volta per
sempre il significato del tetragramma e del pentagramma. Le numerose
trattazioni moderne sulla religione degli Ebrei antichi sono
propense a mostrare un duplice interesse: quello teologico, che
cerca di ridurre concetti e pratiche a classificazioni sistematiche,
e quello storico, che sulla scorta dei documenti descrive lo
sviluppo della religione dalla sua origine alla sua conclusione. Le
linee maestre dell'analisi critica che si fa oggi sui testi ne hanno
corroso i contorni, li hanno spostati, nel tentativo di penetrarne
meglio la natura. Emerge una composizione molto complessa, con
riferimento a forme anteriori d'esistenza e di trattazione orale.
Tutto ciò non poteva non influire sulla ricostruzione della
religione di Israele.
Oggi, in questi problemi, esercitano una più ampia interferenza gli
studiosi delle civiltà dell'antico Oriente, in particolare, gli
archeologi. La più moderna ricostruzione della storia religiosa
d'Israele è dovuta dunque all'opera dei filologi e degli archeologi
che senza particolari tendenze, parlando delle varie civiltà o
culture, intuiscono un periodo logico-empirico dove collocare le
origini del popolo e della sua religione.
La Bibbia dà una testimonianza esplicita nel rapportare il
capostipite ebreo, Abramo, con l'ambiente etnico-religioso in cui
viveva: tra i Semiti di Ur, nella Mesopotamia meridionale. Il nome
Dio dei padri già esprime questa fusione, sul piano storico, di
nazione e di religione.
La separazione religiosa d'Abramo è la separazione dal politeismo:
ad Abramo mancano gli idoli; la divinità ha il nome unico EL (sulle
variazioni ElSaddaj, El-Eljon, ecc. parleremo più avanti). L'Alt
nella sua monografia sul "Dio dei padri", allegando testimonianze
palmirene e nabatee riguardanti un particolare culto di divinità,
non legate a luoghi, ma ad un individuo, il cui nome entra a far
parte del titolo del Dio, pensa anche per l'età premosaica ad una
religione di scelta personale, che diviene religione della famiglia
o del clan, ossia: il nocciolo storico, contenuto nell'espressione
"Dio dei padri", c'indicherebbe un tipo particolare di religione,
caratterizzato dalla prevalente accentuazione del rapporto tra Dio e
un uomo, e poi tra Dio e il gruppo umano subordinato a quell'uomo.
La caratterizzazione sarebbe stata il momento essenziale nella
preparazione della religione di Jahvè. Il Dio d'Abramo, il terrore (Pahad)
d'Isacco, il forte (Abir) di Giacobbe, originariamente sentite come
divinità distinte - come il Dio di Betel, il Dio eterno, il Dio che
mi vede o del mio vedere, l'Altissimo Iddio, EL Saddaj il Dio
Onnipotente o elevato - più tardi si sarebbero fusi tra loro, o
ritrovati in Javhè. Agli esempi risalenti a più di un millennio dopo
l'età patriarcale, ne furono in seguito aggiunti altri più antichi:
testi paleoassiri del XIX secolo, di Nuzi del sec. XV, aramaici del
sec. VIII a. C. .
La Bibbia riporta altri elementi per completare questa particolare
concezione religiosa. Si è osservato che nell'ambiente patriarcale,
come in altri dell'antico Oriente, specialmente quello amorrita,
ricorrono nomi teofori (nomi di persona che contengono un nome
divino) contenenti anche termini di parentela, come per esempio: `ab:
padre, `ah: fratello, `amm: parentela, popolo, `ammi EL: il Dio del
mio popolo è EL. Potrebbe supporsi che anche l'appellativo divino
Pahad Jishaq, normalmente inteso come "terrore d'Isacco", si debba
meglio spiegare nel senso di "parente d'Isacco", allora, anch'esso
rientrerebbe nella serie accennata a dimostrazione di come gli
antichi semiti avevano un vivissimo senso della famiglia, del clan e
del suo Dio. Comunque si debba giudicare la natura della
religione degli ebrei originari, nell'epoca che va dalla loro
separazione dal ceppo semitico alla prima organizzazione civile, la
religione prese la sua configurazione tipica dalle sue tradizioni
nazionali, nei cinquecento anni di permanenza nei deserti
meridionali, tra il periodo egiziano e l'ingresso nel Canaan (paese
che approssimativamente corrisponde alla Palestina e alla Fenicia),
verso il 1230 a.C. La figurazione biblica del periodo reca,
frammisti, elementi storico-narrativi e fatti concomitanti con
quelli istituzionali. Mosè, un ebreo di cultura egiziana, fuggito
nelle regioni del Sinai per evitare le conseguenze di un omicidio, a
carattere - diremmo oggi - politico, mentre sorveglia un gregge al
pascolo, è favorito da un'apparizione divina: chi gli si rivela è il
"Dio di suo padre, Dio d'Abramo, Dio d'Isacco, Dio di Giacobbe",
che gli chiede di farsi promotore della liberazione dei "figli
d'Israele" dall'Egitto, per condurli nella sede che il Dio stesso ha
stabilito, il Canaan. Il mandato conclusivo rivela un nuovo nome
divino: "così dirai ai figli d'Israele: Jahvè, il Dio dei vostri
padri, il Dio di Abramo, il Dio d'Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha
mandato a voi". Ha inizio così la vicenda storica degli Israeliti
che si mettono in cammino per giungere al Sinai, dove si accampano,
per proseguire fino a Cades, dove l'avanzata si arresta per quasi 40
anni, per riprendere sotto la guida di Giosuè.
Gradualmente s'insediano nel paese ubicato tra le due sponde del
fiume Giordano. Sulla denominazione del Dio di Mosè non c'é nessuna
discordanza nei documenti. L'ortografia JHVH (il tetragramma) è
costante nei testi della bibbia e nella stele di Fesa (sec IX a.C.),
e dalle lettere di Lapis (principio del VI sec. a.C.). La pronuncia
Jahvè è ricostruita su testimonianze extrabibliche, perché 1a
tradizione tende a sostituire l'altro nome Adonaj: "Il Signore",
legandolo alle consonanti di JHVH. Generalmente si ammette il
collegamento del nome divino con la radice verbale che significa
essere: antico semitico occid. HWH (hawa), aramaico hw' (hawa),
ebraico Hjh (haja, babilonese Èwù, assiro Èmù (essere simile). La
proposta più recente ne fa un participio in unione con seba'ot, ma
ovviamente si pensa ad un imperfetto. Secondo 1'Albright è un
causativo: Egli dà l'esistenza. Secondo un'opinione diffusa nel
popolo ebraico moderno è uno stativo (Jahweh), corrispondente alla
forma che ha nell'ebraico biblico la voce con il significato "Egli
è" (jihjeh). Questo significato sembra supposto nel racconto di
Ester (v.14). Dio risponde alla domanda di Mosè sul suo nome: `ehjeh
`aser `ehjeh, (sono colui che sono) e subito dopo dice a Mosè di
presentarsi dicendo: `Ehjeh (io sono) mi manda a voi. Sia che il
nome già esisteva o veramente faceva la sua prima apparizione, era
viva la natura predicativa della denominazione stessa, e quindi al
nome di Dio si attribuiva la prima persona `Ehjeh. I fedeli invece
si rivolgevano a Lui in terza persona: Jahweh (= Jijeh). Questo
significato è stato recentemente sostenuto dal Dhorme, vagliato e in
sostanza accettato dal Lambert.
Molti Martinisti oggi sono propensi ad accettare che l'inserimento
della lettera Scin, la penultima dell'alfabeto ebraico, terza
lettera madre e secondo principio di Dio penetrato nel più profondo
della terra per risplendere di nuovo indefinitamente, sia improprio
e che sarebbe giusto toglierlo.
Cornelio Agrippa nella sua Filosofia Occulta, spiegando il quinario
dice: lo si chiama il numero della felicità e della grazia ed è il
sigillo dello Spirito Santo, il legame che tutto unisce; è il numero
della croce essendo contraddistinto dalle cinque piaghe principali
di Cristo.
I filosofi pagani l'hanno consacrato e dedicato a Mercurio, essendo
tanto superiore al quaternario, quanto un corpo animato lo è ad uno
inanimato. Perciò nel tempo della Grazia il nome della divinità
onnipotente è invocato con cinque lettere. Perché nel tempo della
natura s'invocava il nome di Dio col trigramma Sadai; nel tempo
della legge il nome ineffabile di Dio era composto da quattro
lettere che gli ebrei esprimevano con la voce Adonai: nel tempo
della grazia il nome di Dio è il pentagramma ineffabile LH.S.VH. che
per un mistero non meno grande, s'invoca anche con tre lettere. (Vav
= chiodo; Scin = fuoco; Iod = punto. Meravigliosa, sintetica,
descrizione della triplice ? che compone il
candelabro a sette bracci israelitico).
Saint Martin nella simbologia dei numeri afferma: "La legge e
l'elezione dei Giudei sono state scritte dal grande nome divino
composto di quattro lettere e queste lettere sono tutte vocali" ( le
grammatiche ebraiche le considerano consonanti, ma prestiamo
attenzione a quanto afferma Elémire Zolla, nel suo libro Le
meraviglie della natura, a pag. 512: Elohim è la conoscenza che
stilla dal timore e dal tremore, dando accesso alla trinità
creatrice suprema, composta dalla conoscenza, Elohim stesso, da Iah,
l'emanazione umida della natura, la sapienza iscritta nei cieli, è
compreso nel nome IHVH, poiché "ESSO RACCOGLIE SETTE VOCALI CHE SI
RIUNISCONO IN UNA PAROLA). Oltre alle quattro consonanti, esistono
dunque nel nome IHVH sette vocali tacite (a, é, è, i o, u, ó). Gli
ebrei lo scrivono con quattro lettere e lo applicano alla potenza
suprema di Dio. Eusebio testimonia che IHVH significa il settenario
delle note: il rapporto tra l'armonia musicale e la luce. Quel
soffio della forza formatrice o primo calore della Luce, trasse
dalla pietra o materia prima la terra pura: dice lo Zohar; trasse
dalle acque ( dalla pietra fusa, dal caos ), con il primo atto
alchimico, una terra pura, da cui fu quindi estratta l'umidità
radicale o acqua elementare; da questa infine fu fatto sprizzare il
fuoco purissimo che compagina ogni sostanza, separandolo dalla
tenebra che copre l'abisso. Così ottenuto il fuoco, se n'estrasse
l'aria pura: un lieve divino sussurro...., l'atmosfera in cui poté
infine splendere la Luce. Ed Elohim disse: "SIA LA LUCE". Il Regno
giunge quando IHVH guarda dai cieli la terra.
Mosè ricorda che dal cielo Dio fece udire la voce per educare il
popolo, e sulla terra fece vedere un gran FUOCO: e tu hai udito le
parole in mezzo al fuoco. Deut.IV 36 ), la parola IHVH sarebbe
formata da quattro vocali, foneticamente considerate, ora le vocali
non sono altro che l'espressione delle sensazioni, ecco perché la
legge degli ebrei fu tutta sensibile e perché il popolo fu così
spesso senza intelligenza e testardo. Tuttavia questo grande nome
era composto di quattro lettere perché era tutto spirituale, divino,
e perché influiva sul sensibile metafisico e morale e non sul
sensibile materiale che ha i suoi agenti particolari. Allorché
arrivò il tempo dell'intelligenza, una lettera potente scese e venne
ad incorporarsi al grande nome per completarne il prezzo ed il
valore. Questa lettera porta i1 numero 21 nell'alfabeto ebreo. Essa
è triplice nella sua forma. Si potrebbe trovare una specie di
rassomiglianza con la forma di una lingua di fuoco e sentire perché
lo Spirito Santo fosse sceso sotto forma di lingua di fuoco sugli
apostoli: essa è sibilante. Così si fece allora un gran rumore come
il vento violento ed impetuoso che veniva dal cielo. Ecco le molte
caratteristiche che la rendono importante: il numero 21, divisibile
per 3, offre le tre azioni spirituali universali. La forma ternaria
della lettera presenta le tre unità eterne ( le 3 madri). Essa è
sibilante come il Rouach o lo spirito. Essa è dunque venuta ad unire
l'intelligenza superiore alla legge sensibile di cui avevano
usufruito gli ebrei, e così essa ha realizzato il completamento di
tutte le cose ed ha tutto spiritualizzato, perché, anche
considerandola come 3 ha manifestato pienamente la potenza
settenaria unendosi doppiamente al quaternario".
Penso che ogni moderno Martinista possa compiacersi della
meravigliosa intuizione di Saint- Martin e possa lavorare alla
propria reintegrazione consapevole che è giusto conoscere la
tradizione, ben sapendo che solo il debole attacca per fuggire la
verità, il saggio la dice.
(1) Sono state
confrontate le traduzioni dal testo ebraico: Sepher Jetzirah
-Umberto Maria Gandini - ed. Amenothes Sepher Jetzirah - Eliahu
Shadmi - ed. Atanor Sepher Jetzirah -Teretchenko - ed. Atanor Lo
Splendore della Kabbalah - Virio - ed. Sophia La Gnosi - Virio - ed.
Sophia
Bibliografia:
Religioni degli antichi ebrei - Giovanni Rinaldi - ed. Sansoni The
Divine Name IHVH - Oberman - Giornale biblico pag,301 Biblica -
Vaccari - num.17 pag.l-10
Tratto dal sito Sixtrum
http://www.prometeolocri.net/
|