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Le Scuole Iniziatiche dell'Antica  Saggezza

MARTINISMO

                                
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LOUIS-CLAUDE DE SAINT-MARTIN

MAESTRO DI SPIRITUALITÀ E DI ALCHIMIA[1]?

di Elena Cuomo

 

 

A tutt’oggi la figura del filosofo e mistico Louis-Claude de Saint-Martin resta una figura di rilievo, che desta interesse tra studiosi di diversi campi, aprendo alla riflessione e al confronto interdisciplinare su temi quali la cosmologia, l’antropologia, la filosofia politica e, facendolo proprio nel sostare in quella zona di intersezione, che egli individua nella spiritualità o, meglio, nel qualificarsi dell’umana natura lungo il corso della propria esistenza, concepita come un percorso di crescita spirituale.

I diversi e considerevoli tentativi di eminenti studiosi di etichettarne l’insegnamento o di configurarne la corretta collocazione culturale hanno sortito differenti e spesso molto interessanti studi sul suo misticismo o sul suo pensiero  filosofico, con il risultato complessivo di sottolineare le diverse sfaccettature di un prisma che resta di elevato contenuto spirituale e con una significativa influenza sui filosofi contemporanei o di qualche generazione successiva[2].

Chi, come Elme M. Caro, ne riconduce la dottrina al nucleo dell’unità dell’Essere fonte di tutte le cose, assimilabile all’Ensoph della Kabbala come al mysterium magnum della filosofia ermetica, finisce col sostenere la difficoltà di un’indagine che vada oltre il principio di emanazione. Saint-Martin diviene così, l’esponente di un panteismo cristiano, l’eroe forse di un disperato tentativo di conciliazione di estremi inconciliabili, cui pur si riconosce la statura del grande mistico[3]. Al contrario, tra gli esperti c’è chi, come Gerhard Wehr, privilegia la linea metafisica e teosofica di discendenza da Jacob Böhme e l’influenza del filosofo francese su autori quali Lavater, Claudius, Goehte,  Novalis e von Baader[4]. Wehr, tuttavia, riconosce la natura eclettica dell’insegnamento di Saint-Martin e gli riconosce stretti legami con la gnosi e l’alchimia[5].

Non essendo questa la sede per dirimere la questione di un’opportuna collocazione culturale dell’autore, sembra piuttosto di un qualche interesse soffermarsi su uno dei filoni che attraversano l’insegnamento di quest’uomo che attraverso le esperienze favorite da una natura mistica giunge alla maturazione di un pensiero filosofico così vicino alla Natur philosophie da far parlare i posteri di un maestro di alchimia[6]. Non credo si tratti di posizioni estreme inconciliabili, piuttosto di diversi percorsi dell’animo umano al compimento inesauribile del proprio essere, spesso protetti da un linguaggio non facilmente accessibile. La tesi sostenuta in questo scritto è appunto che l’insegnamento spirituale del filosofo e del mistico non sia in contraddizione con una lettura che gli attribuisca una forte derivazione alchemica, forse mutuata dalla mistica slesiana, la cui frequentazione – per altro – non può essere sottovalutata.

Gli esperti sanno bene che l’arduo lavoro degli alchimisti coinvolge diversi strati di senso e che, come è stato autorevolmente sostenuto, ad una dimensione operativa corrisponde parallela una dimensione spirituale. La letteratura non specializzata a volte dimentica o tralascia questo aspetto pur molto significativo nella storia della ricerca della pietra filosofale.

Tuttavia, “il tesoro difficile da raggiungere”[7] – per dirla con Jung - che ogni alchimista ricerca e con lui ogni uomo, non è che l’equilibrio e l’armonia col cosmo, quella saggezza del profondo, che proviene da un lungo viaggio dentro di sé, attraverso vari strati, dalla propria negritudine fino all’illuminazione. Il ruolo della gnosi o della conoscenza tradizionale è evidentemente molto forte, fondamentale come la sua acquisizione graduale. Per quanto concerne le sue strette connessioni cariche di significato con il percorso di individuazione e con la figura simbolica dell’imperatore, non posso che rinviare al testo magistrale del prof, Bonvecchio[8].

Qui basti ricordare a chi non fosse addentro alla materia,che in alcuni adepti e maestri la trasmutazione di vili metalli in oro diventa addirittura complementare e passa in secondo piano rispetto al valore simbolico di costante e coraggioso tentativo di purificare la propria anima, ottenendone il passaggio, la trasmutazione appunto, dalla sua condizione ad uno stato di perfezione. Superfluo quindi il riferimento a grandi nomi di mistici come Raimondo Lullo o la distinzione in seno all’arte ermetica tra una via strettamente operativa ed una più attenta alla vita interiore.

Focalizzando l’attenzione sul contatto forte tra alchimia e mistica, mi vorrei soffermare su alcuni spunti della dottrina di questo grande maestro di spiritualità quale fu Louis-Claude de Saint -Martin, la cui statura fu riconosciuta già in vita da diverse parti culturali, di diverso approccio alla spiritualità di area giudaico-cristiana. Il suo insegnamento “dolce” gli valse rispetto e considerazione nella Francia di fine Settecento, in tutta Europa fino in Russia e non solo tra gli iniziati e nei circoli mistici, ma anche tra le fila dei rivoluzionari[9].

Ciò che caratterizza fortemente le indicazioni che le Philosophe Inconnu indirizza all’adepto o a colui che desidera partecipare alla Grande Opera è la scelta della via cardiaca o del cuore, improntata alla preghiera interiore, in una dimensione mistica, la cui progressione graduale è scandita da diversi passaggi iniziatici; la corrispondente scansione temporale di essi è sentita in una dimensione di relativa autonomia dal maestro, semplice guida terrena, e, piuttosto, auspicata in connessione trascendente con una guida di altra natura. Questo elemento di liberalità si ravvisa altresì nell’apertura verso diverse confessioni, rispetto alle quali, la posizione martiniana risulta trasversale, privilegiando la scelta di un tempio interiore, la cui edificazione consenta un contatto con la divinità commisurato alla propria sensibilità e conoscenza ovvero alla propria condizione o al vero stato dell’opera. Infatti, “Il suo gran principio era a detta del barone von Gleichen - che, nel campo dello spirito, non bisogna turbare la marcia dell’uomo”[10].

Non si dimentichi che Saint-Martin è allievo di Martinez de Pasqually, ne è stato a lungo il segretario fidato e, quindi, conosce a fondo l’operatività dei cerchi magici o angelici del maestro teurgo o mistagogo, guida degli Eletti Cohen[11]. Ha, dunque, piena dimestichezza con quei mondi che oggi chiameremmo metapsichici o che sono stati definiti vicini all’astrale paracelsico[12]. Egli è anche in stretto contatto con il fratello Willermoz, fondatore nel 1778 a Lione dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa, distinti - secondo Francovich - nei due gradi dei Reaux Croix e degli Elus Cohens. Pertanto, egli si configura come la via del cuore, l’insegnamento del Portico, a carattere mistico, l’aspetto divulgabile della conoscenza esoterica, quella di solito appannaggio degli ordini cavallereschi, custodi della Parola.

 Non importa ora qui venire a capo della questione se la sua fosse una linea di rottura con l’operatività del maestro e l’attività del willermozismo o se costituisse, invece, una sorta di concertato completamento, una sorta di maturazione dell’altra via. Anche perché le voci sono discordi e le interpretazioni molteplici[13].

Ciò che, invece, a mio parere, risulta determinante per avere un’idea della posizione di Saint Martin, è l’assoluta necessità di desiderio profondo di luce. Solo tale condizione, infatti, spinge l’adepto in questa direzione, sì da fargli superare tutti gli ostacoli di diverso calibro e natura che incontrerà cammin facendo, non ultime le lusinghe del meraviglioso, che potrebbero distoglierlo dal rimanere sintonizzato sulla specificità della propria lunghezza d’onda e lasciare che si perda, affascinato da fenomeni insoliti, anche legati alla sperimentazione delle proprie potenzialità, magari a lui sconosciute.

“C’è senza dubbio un diapason giusto nella natura, c’è n’è uno particolare per ogni essere. Se tu ne usi un altro, che puoi produrre? Malgrado la precisione di tutti i tuoi suoni, secondo i rapporti della scala musicale, questi non saranno meno falsi, poiché il diapason lo sarà lui stesso”[14].

Saint-Martin propugna, dunque, una via iniziatica secondo la tradizione classica, cioè lungo la cifra individuale da maestro ad allievo, commisurata alle esigenze di quest’ultimo[15] e nella quale la dimensione collettiva di Martinez viene, per così dire, recuperata poi nella dimensione politica, cioè nella dottrina filosofico politica della sovranità[16]

Attraverso le sue principali opere di taglio eminentemente spirituale, è possibile individuare la scansione di tre gradi iniziatici, corrispondenti al percorso del ricercatore e, precisamente l’Homme de désir nel 1790, Ecce Homo e Le Nouvel Homme, pubblicati in questa successione, nel 1792.

1) Con L’Homme de désir, Saint-Martin esorta i suoi lettori a lasciarsi animare dal desiderio di Dio, ad abbandonare la condizione di «uomo di dolore» o, per lo meno, a tentare di mettersi in cammino verso il recupero, la reintegrazione della propria dignità antropologica, di creatura pensata dal Divino come erede delle sue virtù e potenze e posta al centro della Natura con poteri su di essa. Le Philosophe Inconnue ritiene che “lo stesso spirito circoli in tutti gli esseri pensanti, [ e che tutti] noi attingiamo senza sosta alla stessa fonte”[17]. E’ per questo motivo che ad ognuno è dato di scorgere e, desiderandolo, di contemplare la luce nella vita terrena, prima di giungere in quella sfera non terrestre, dove si trova “questo fluido semplice e fisso, principio e sorgente di tutti i movimenti e portante ovunque la pienezza della vita”[18].

Infatti, nonostante la caduta dell’uomo in una condizione d’ignominia, una scintilla sacra, traccia luminosa della vita eterna, continua a splendere in segreto: è qui che nasce il pensiero delle cose di Dio, la possibilità di concepirlo e contemplarlo[19].  E’ interessante che, in merito alla caduta, non sia l’elemento della colpa a venir messo in risalto, bensì l’effetto quasi automatico della chiusura, cioè della mancata disposizione ad accogliere la forza vivificante: il divino.

Questo passo, quasi fugace, sulla chiusura, meriterebbe sicuramente una lettura attenta e accurata. E’ forse qui il caso di richiamare l’attenzione almeno su come tale chiusura a Dio rappresenti la rinuncia alla vita, la scelta a precipitarsi in una regione oscura…. Viceversa, una disposizione d’animo di apertura fertile, oltre che in una via mistica di scoperta del Divino, ben si inscrive in un percorso di conoscenza del Sé e apertura alla vita che, non necessariamente di stampo religioso, riconosca la sacralità del germe di vita o principio di tutte le cose[20].

E’ evidente, però, che un tale uomo, degradato rispetto alla propria fonte divina, non possa occuparsi degnamente della propria salute, così come di quella degli altri, se non si lascia ripristinare nella sua natura integra.

Ecco il punto focale: la reintegrazione è necessaria, è la unica fonte di salvezza, ma non solo per la vicenda esistenziale e spirituale del singolo, bensì per l’intera comunità. Come ottenerla? I primi passi indicati in questo scritto consistono nell’invito  a rivolgere gli occhi dell’anima alla scintilla interiore e, nel contempo, al cosmo e alle sue vicende, ai rivolgimenti continui che l’uomo disattento disdegna[21]. L’intero sforzo della Natura è, infatti, volto a colmare l’abisso e a sotterrare l’iniquità sotto le acque[22]. E L’anima dell’uomo, in analogia con l’anima del mondo, “può elevarsi come i vulcani al di sopra di questi abissi e navigare nelle regioni pure dell’atmosfera”[23].

Ciò può avvenire solo attraverso l’imitazione di Dio e, cioè, attraverso l’accettazione dei patimenti interiori, quali esercizi necessari di avvicinamento a Dio stesso, alla sua carità sofferente per le pene del mondo, per le quali l’adepto deve essere disposto a combattere[24].

Dunque, “due le parole scritte sull’albero della vita: spada e amore”[25].

 La spada della parola per annientare i suoi nemici, è la chiave della strada esteriore; la seconda, per alleviare i suoi patimenti è la cifra della vita interiore[26].

In questo scritto l’aspetto cardiaco è perfettamente complementare a quello operativo e sembra molto vicino alla concezione cavalleresca, nella quale la spada si configura anche come strumento di carità. In merito alla via cardiaca, trovo significativo ricordare che Saint-Martin considera l’elemosina veramente tale, solo se essa significa, nelle intenzioni, un gesto per alleviare effettivamente il povero dalle necessità e consentirgli così la lode a Dio.

Dunque, elogio della vita contemplativa e in sintonia con la natura, contemperata dall’intervento caritatevole e incisivo nel mondo, con l’impegno costante di sottrarsi agli abusi e agli eccessi corrispondenti, implorando  il Signore di aiutarlo a mantenere l’impegno di testimonianza e allo Spirito Santo, che è movimento universale, di vivificarlo e proteggerlo[27].

2) Con la pubblicazione di Ecce Homo, Saint-Martin si persuade che la reintegrazione sia auspicabile soltanto per la via «interna». Infatti, questo libro essenzialmente ha per oggetto i pericoli del meraviglioso e richiama all’ordine l’uomo del desiderio affinché non disperda i suoi sforzi e ricordi che l’unico Mediatore è il Cristo.

L’uomo, come “pensiero di Dio” e non come “pensée Dieu”, soltanto in Lui può conoscersi e riconoscersi, soltanto nel suo splendore può comprendere la propria natura, la qual cosa dimostra la difficoltà per l’ingegno umano di comprenderne l’essenza[28].

  In realtà lo scritto prelude a Le Nouvel Homme e costituisce una sorta di fortificazione dell’uomo di desiderio prima che questi si affacci ad un’ulteriore conoscenza delle cose dell’uomo e di Dio. Esso, dunque, si può a buon diritto considerare come un secondo grado iniziatico della mistica di Saint-Martin che, dopo aver indirizzato il novizio verso il desiderio del divino, corregge il tiro e lo mette in guardia da facili degenerazioni del suo entusiasmo[29]. E’ per questo motivo che è preferibile mettere in stretta relazione la lettura di tale scritto con il grado immediatamente precedente e con quello successivo, sì da darle il giusto rilievo.

  Secondo parte della critica, questo testo e lo scopo che lo anima corrisponderebbero anche ad una fase interiore dell’autore stesso che, lungo il suo personale percorso spirituale, fa dell’autocritica, sentendosi di dover insistere maggiormente rispetto a ciò che ha scritto, sulla via interiore, piuttosto che su quella rivolta al mondo esterno.

Sostanzialmente, questo sembra essere un insegnamento atto, almeno nelle intenzioni, a superare la «tentazione dell’eterno», la “gola” o avidità di manifestazioni spirituali che, secondo i più grandi mistici è una delle tentazioni che il novizio deve vincere[30]. Dunque, considerato il clima culturale e spirituale che accompagnava quei tempi e vedeva il continuo fiorire di nuovi interessi spiritistici e occultistici, Saint-Martin ripropone l’osservazione della Natura quale punto di partenza per le scoperte luminose del mondo interiore. Il suo è, quindi, un richiamo alla semplicità naturale e, forse, in termini più attuali, si può pensare che il metodo prospettato sia quello dell’esercizio meditativo applicato al mondo naturale per ritrovare, attraverso la sua contemplazione, una giusta dimensione e riconoscere, così, dentro di sé Ecce Homo! Una volta riconosciutolo, il novizio deve affrontare il grande compito per il quale si sta preparando da tempo e, cioè, il terzo passo o grado.

3) Saint-Martin pubblica finalmente Le Nouvelle Homme di cui temeva gli esiti. Egli, infatti, pur avendolo concepito e scritto ancor prima di Ecce Homo, si decide a pubblicarlo solo successivamente. In questo testo il maestro auspica una radicale conversione, tale che conduca l’uomo di desiderio alla reintegrazione della sua primigenia natura umana[31]. Secondo Amadou si tratta del più grande testo dell’esoterismo cristiano e lo definisce “un manuale strumentale che esorta e predica la Grande Opera così bene da provocarla”[32].

Già da queste prime battute è possibile immaginare la questione controversa di una corretta lettura di questo libro bellissimo, che suscita almeno due diverse linee interpretative.

Nel primo caso l’uomo di desiderio, una volta focalizzata la sua attenzione sull’Uomo per eccellenza, avendo cioè riconosciuto l’Uomo nel secondo grado del suo noviziato, dovrebbe semplicemente aprirsi a lui attraverso la contemplazione e la preghiera, lasciando che la saggezza divina provochi in lui la trasformazione in uomo dello spirito. Egli dovrebbe cioè acconsentire a lasciarsi essere o divenire Cristo, a lasciarsi reintegrare nella sua originaria natura. Il ritratto proposto sembrerebbe essere quello di un mikrotheòs, un Dio perfettibile che regge il paragone con l’immenso Principio da cui è originato e al quale fa ritorno[33].

Altrimenti, in una seconda linea interpretativa, l’uomo del desiderio, giunto alla contemplazione di Ecce Homo e riconosciutolo come “uomo definitivo”, icona divina e capo di un’umanità nuova, si porrà alla sua sequela, acconsentendo alla forza di questo archetipo e, contemporaneamente Dio-vivente-nell’uomo, di agire dentro di lui per la sua totale palingenesi, per la sua effettiva conversione, preludio alla redenzione: l’uomo, cioè, si apre all’azione di Dio dentro di lui e si lascia trasformare in uomo dello spirito[34].

Segnalo quindi la ricchezza e la fertilità di questo testo per chi volesse meditarne il senso profondo.

Le Philosophe Inconnue, dopo aver indicato la strada verso la realizzazione di sé quale pensiero di Dio , esorta ora il novizio a liberare l’angelo imprigionato dentro di sé o il Verbo divino che è vita e attività e lasciare che questa si propaghi a tutte le regioni della sua esistenza o a tutte le sfere che la compongono. Egli sostiene che ciò avviene aprendosi all’azione vivificante dello Spirito Santo e che tale disponibilità sia dolorosa, essendo un processo di morte e rinascita[35]. La volontaria sottomissione alla sofferenza si qualifica come penitenza, prezzo da pagare per l’apertura al divino, dono di noi stessi che comporta la guarigione del cuore.

L’anima visitata da Dio – sostiene Saint-Martin - si contraddistingue per la gioia e l’allegria e per le delizie a cui partecipa: essa va a ristabilire giustizia e ordine sulla terra. Ecco che la guarigione si qualifica come una vera e propria apertura! Se finora la via cardiaca ha comportato un concentrarsi e raggomitolarsi su se stesso, sulla creazione e sull’osservazione di uno spazio interiore, da preservare dai pericoli del meraviglioso che ne attentino l’edificazione e la purezza, ora l’invito è ad espandersi verso l’esterno, rivolgendo lo sguardo verso coloro che camminano sull’orlo dell’abisso ed esercitando la compassione[36].

Anche in questa fase l’uomo dovrà superare diversi ostacoli: da un lato, infatti, egli dovrà sconfiggere “le illusorie prudenze” che trovano terreno fertile su vigliaccheria e pigrizia; dall’altro, dovrà superare diverse prove di pazienza, che lo lasceranno nell’attesa umile di poter progredire sulla via della luce. Innanzitutto nel discernere le une dalle altre e in tutte le sue fasi, il novizio in costante preghiera non smetterà di chiedere assistenza  al fuoco sacro dello spirito divino, il quale gli consentirà di condurre a termine il suo viaggio continuo.

Infatti, una volta superate tutte le prove e rinato alla luce dello Spirito, il Nuovo Uomo, Luce e Guida per l’intera comunità, sarà certo dello stato liminare nel quale si svolge la sua esistenza terrena e avrà piena comprensione che la Terra nella quale è approdato si dà in perfetta sintonia con i suoi passi e che essa diventa un dato certo di partecipazione all’eternità, esclusivamente nella dimensione di costante vigilanza su se stessi. La guarigione del cuore richiede, infatti, un costante esercizio di preghiera di essere pervasi dal divino, di pazienza nella sopportazione del dolore anche fisico che ciò comporta e – cosa che consente anche di sganciarsi dalla percezione solita del tempo – l’esercizio della propria sovranità nelle tinte della compassione, della giustizia e della misura.

A proposito delle zone di interconnessione tra filosofia e mistica, nonostante l’approccio radicalmente diverso[37], molte e bellissime le finestre che questo libro apre sullo scenario uomo e dio.

Vorrei indicarne almeno tre:

1)    che l’impazienza porta al deserto, cioè all’aridità arsa dell’anima: “guai- dice Saint-Martin– a chi voglia anticipare l’epoca felice”[38]. La conoscenza sacra deve avvenire per gradi, rispettando una scansione temporale che non può essere preordinata dall’uomo, pena gravissima la distrazione dalla propria personalissima meta e destinazione interiore, verso la quale l’intero essere naturalmente tenderebbe. Ciò apre un’interessante luogo di riflessione circa il recepimento della metafisica teleologica di matrice aristotelica.

2)    Quella più scottante della natura dell’uomo nuovo: è egli davvero il Cristo? O ne ha introiettato così bene il modello da lasciarlo essere nella sua esistenza? In altri termini, siamo di fronte alla sovranità del faraone o dinanzi al tentativo di dare sistematicità all’esperienza mistica del rispecchiamento?

3)    Sia che si scelga la prima soluzione che la seconda, ciò ha un significato forte non solo per il singolo, ma per l’intera comunità: l’Uomo Nuovo, infatti, è chiamato a propagare la crescita spirituale degli uomini, non ponendosene a capo, ma esercitando la sua sovranità quale fiaccola da cui, in analogia con l'emanazione divina, si propaghi la luce, insieme in ogni singola coscienza, secondo le sue peculiarità, e nella comunità come una melodia cantata a più voci da un coro[39].

 

Maestro sapiente, Saint-Martin prospetta una strada ardua di purificazione delle diverse sfere della propria esistenza o di attuazione di ciò che in potenza ognuno di noi peculiarmente è. Ne risulta il difficile e responsabile compito per ciascuno di distinguere e lasciare espandere la scintilla dentro il proprio nerume, senza lasciarsi abbagliare dallo splendore, ma aprendosi alla sua azione vivificante; senza lasciarsi spaventare o chiudere o distrarre o sedurre da ciò che, forse adatto per un altro pellegrino, non si accorda al proprio diapason.


 

[1] Questo testo è la successiva elaborazione di una relazione tenuta a Perugia ad un convegno Sull’arte regia e sulla cavalleria sacra, nel maggio 2006.

[2] Circa la fortuna del pensatore, mi permetto di rimandare al mio Elena Cuomo, Il sovrano Luminoso, fondamenti della filosofia politica di Louis-Claude de Saint-Martin, Giappichelli, Torino 2000, pg. 49 e sgg.

[3] Cfr. Elme M. Caro, Du mystucisme au XVIII siècle, Essai sur la vie et la doctrine de saint-martin le philosophe inconnue, Slatkine_Megariotis Reprints, Genève 1975, pgg 296 sgg., 300sgg, 306 sg.

[4] Gerhard Wehr, Saint-Martin, das Abentuer des Unbekannten Philosophen auf der Suche nach dem Geist, Collana Fermenta Cognitionis, vol.9, Aurum Verlag, Freiburg im Breisgau 1980, pg. 6 sgg, 23 sgg, 40 sgg.

[5] Ivi, pg. 23.

[6] E’ opportuno ricordare che Robert Amadou, curatore delle Opere Maggiori di Saint-Martin, si esprime per la rilevanza alchemica dell’insegnamento de le Philosophe Inconnue.

[7] Carl Gustav Jung, Psicologia e alchimia, Boringhieri, pg 37 ss, cit. in Claudio Bonvecchio, Imago Imperii Imago Mundi, sovranità simbolica e figura imperiale, Cedam, Padova 1997, pg 173.

[8] Cfr. Claudio Bonvecchio, Imago Imperii, imago mundi,cit.

[9] Secondo parte della critica il primo a darsi conto dell’importanza dell’insegnamento martiniano fu il conte de Maistre, che lo ritenne determinante nella lotta contro l’ateismo, cfr. Ernst Benz, Les Sources mystique de la philosophie romantique allemande, Vrin, Parigi 1968, pag.105. Circa la considerazione di Voltaire e d’Alambert cfr., Amadou, Introduzione a Ouevres Majeures, cit.pg.55 ss.

[10] Gastone Ventura, Tutti gli uomini del martinismo, Atanor, Roma 1978, pg. 25.

[11]  Per un primo orientamento su Martinez de Pasqually, mi permetto di rimandare al mio Elena Cuomo, Il sovrano Luminoso, fondamenti della filosofia politica di Louis-Claude de Saint-Martin, Giappichelli, Torino 2000. In particolare pg..35 e ss., testo e note. .Per un approfondimento, il testo che mi è sembrato più interessante è quello di Gerard van Rijenberk, Martinez de Pasqually . Un thaumaturge au XVIII siecle, Georg Olms Verlag, Parigi 1935.

[12] Cfr. E. Cuomo, Il sovrano luminoso, cit., pg.168  e ss.

[13] Ibidem, pg.68 testo e nota.

[14] Louis-Claude de Saint-Martin, L’Homme de désir (1802), in Oeuvres Majeures cit., t. III, pg. 219.

[15] E. Cuomo, Il sovrano luminoso, cit.,pg.45.

[16] Ibidem, pag. 127 ss.

[17] L. C., Saint-Martin, L’Homme de désir, in O.M. cit., pg. 25.

[18] Ibidem, pg. 27.

[19]Si ma pensée n’étoit  une de tes étincelles, je n’aurais pas le pouvoir de te contempler”. Ibidem, pg. 5.

     Circa il sincretismo di certa gnosi cristiana negli antichi testi di Nag Hammadi, cfr. L. Moraldi, Testi gnostici, Torino 1982, pg. 97 ss.

    Inoltre, circa l’homme de dèsir come l’humus dal quale verrà generato il nuovo uomo, come il “seme della violetta che ritiene di venire dal nulla…”, cfr. Nicole Chaquin, Differences et generations autour de la notion de rapport dans l’oeuvre de Louis-Claude de Saint-Martin, in A. A. V. V., Presence de L.C. de Saint-Martin,Textes inedites, Societè lingeriènne de philosophie,Tours 1986. ,pg. 274 – 283.

[20] Tema caro sia alla gnosi antica che agli gnosticismi successivi, la conoscenza di sé si presenta come un punto cardine, la premessa per ogni tentativo di reintegrazione o di salvezza. “Ognuno di voi che ha conosciuto se stesso ha visto il luogo della vita”. Dal Dialogo del Salvatore, I32, 16-17, cit. in L. Moraldi, Testi gnostici, cit. , pg. 84. Circa la tradizione ermetica, forse gioverà qui un raffronto con un passo del Poimandres, quello in cui l’anima o l’uomo sostanziale, dopo un lungo processo transeunte attraverso le sfere, “entra in dio”. Tuttavia il Nous specifica all’interrogante che non si tratta di un semplice ingresso, quanto piuttosto di una vera e propria divinizzazione. Cfr. Ermete Trismegisto, Poimandres, a cura di Paolo Scarpi, Marsilio,Venezia 1992, pg. 63; cfr. anche il commento in nota, pg. 99 sgg. Si tenga presente che da questo passo traspaiono chiaramente anche la funzione elettiva della conoscenza e la missione dell’uomo pneumatico o, comunque, del privilegiato, inteso come responsabile della salvezza dell’umanità e che ci riporta ad alcune considerazioni circa la sovranità. In merito, cfr. E. Cuomo, Il sovrano luminoso, pg.127 ss.

 

[21] Non direttamente in merito alla conoscenza di sé, ma piuttosto in merito ad una disposizione d’animo fertile, di apertura a lasciarsi inabitare dall’Eterno, che evidentemente la presuppone, ricco di spunti è il confronto con la filosofia di Franz von Baader – tra i primi filosofi tedeschi che leggono le P. I. – e, in particolare, con il ruolo della volontà attraversata dalle tinture maschile e femminile. Cfr. Elena Cuomo, Simbolica speculativa nella filosofia politica di Franz von Baader, Giannini, Napoli 1996.

[22]L-C de Saint-Martin, L’Homme de désir, in O. M. cit., pg. 7 – 8.

[23] Ibidem, pg. 9 e pg.77.

[24] Ibidem, pg. 10.

[25] Ivi.

[26] Ivi.

[27]Esprit saint, c’est toi qui procures à l’homme ce bonheur, parce que l’esprit saint est le mouvement universel. Parce que rien sans lui, ne peut connoitre ni terme ni plénitude. Parce qu’il lie le verbe et l’ouvrage des six jours, et qu’il aide à l’un et à l’autre à séparer l’apparence d’avec l’iniquité.” L.C. de Saint-Martin, L’Homme de désir, cit., pg. 66 – 67.

[28] L. C. de Saint-Martin, Ecce Homo, in O. M. cit. , t. IV, pg. 18 sgg.

   Molto severa è la critica di Amadou verso chi, come Elme M. Caro, ha accusato Saint-Martin di panteismo proprio a partire dal malinteso pensiero di Dio. Infatti – sostiene Amadou – “Caro omette che il pensiero di Dio, se è capace di divinizzazione, perché è capace di concepire Dio, non è né sarà mai il pensiero-Dio”. R. Amadou, Introduzione, a L. C. de Saint-Martin, Le Nouvel Homme, in O. M., cit. ,t. IV, pg. 27 sg.

[29] Poco dopo la sua pubblicazione, l’opera è stata recensita come uno scritto avente per oggetto quello “di mettere in guardia dalle illusioni fisiche  spirituali”; ma è lo stesso Saint-Martin, in una lettera a Kirchberger, a definire il libro come concepito per combattere “il meraviglioso dell’ordine inferiore”, “come i sonnambuli e tutti i profeti del giorno”, di cui, sia detto per inciso, la duchessa di Borbone era infatuata. Cfr. R. Amadou, Saggio introduttivo, cit. , pg.20 sg.

[30] San Juan de la Cruz, Poesìa completa y comentarios en prosa, Planeta De Agostini, Barcelona/ Madrid 1989, pg. 59 ss.

[31] E’ da sottolineare che l’uso del vocabolo reintegrazione non è chiaro e costante, bensì l’A. utilizza anche regeneration. Cfr. L-C de Saint-Martin, Mon portrait historique, Tours 1807, pg.173.

[32] Circa le differenti interpretazioni, rispettivamente di Matter e di Amadou, di cui si riporta la tesi, cfr. E. Cuomo, Il sovrano luminoso, cit., pg. 107, nota 206.

[33] Cfr. Gerard Wehr, Fermenta Cognitionis,  cit., pg. 45 sgg. Questa era già, senza ombra di dubbio sin da L’Homme de désir, la posizione di un lettore appassionato come Franz von Baader. Cfr. F. von Baader, Erläuterungen zu sämtlichen Schriften von Louis-Claude de Saint-Martin, Friedrich von der Osten-Sacken (a cura di), in Sämtliche Werke, Franz Hoffmann (Hrsg.); Leipzig/Aalen neudr. 1987, vol. XII, pg. 205.

 Questo aspetto della dottrina martiniana sembra risentire della lezione gnostica del mito dell’Uomo Primordiale divino, con il quale si identifica l’essenza più intima dell’uomo. L’io dell’uomo apparterrebbe alla sfera del divino, cui tende a ritornare; in particolare all’Essere supremo che,  in genere, nelle varie scuole gnostiche, si distingue dal demiurgo o dal grande architetto, il quale può essere sommariamente definito come di un rango inferiore. Cfr. Luigi Moraldi, Testi gnostici, UTET Torino 1982/1997, pg. 86 sg.  Cfr. pure la figura dell’Adamo celeste, Vangelo degli Egiziani, 6I, in Ibidem, pg. 286. Qui si legge: ”Costui, infatti, è Adamas, la luce irradiante dalla luce, l’occhio della luce. Egli è il primo uomo: tutte le cose sono per lui, tutte le cose sono sue, senza di lui non c’è nulla; è il Padre che venne giù, è l’inaccessibile, l’inconoscibile: egli discese dall’alto per annullare l’inefficienza”.

  Per una definizione di gnosi nei testi antichi, si parta dalla considerazione che gnosis in greco antico vuol dire conoscenza, “ma non ogni conoscenza è «gnosticismo»; la gnosi dello gnosticismo è una conoscenza particolare sia per l’oggetto, sia per lo scopo che si prefigge, sia ancora per i mezzi dei quali si serve. L’oggetto e con esso anche lo scopo, è espresso in modo conciso e chiaro: «non è soltanto il bagno che è liberatore, ma anche la gnosi: Chi eravamo? Che cosa siamo diventati? Dove eravamo? Dove siamo stati gettati? Qual è il fine verso il quale corriamo? Donde siamo riscattati? Che cos’è la generazione? E la rigenerazione?» (Extr. Theod. , 78,  2). Lo scopo è, dunque, la salvezza”. L. Moraldi, Testi gnostici, cit. , pg. 88. In merito al tema della reintegrazione o rigenerazione, non si può altresì sottacere che si tratta di un tema tipico della tradizione ermetica. Esso si riconnette al principio della inabitazione di Dio nella creatura umana e alle varie tipologie che le più diverse tradizioni religiose hanno considerato, dalla possessione alla estasi mistica. In questo contesto si presenta il doppio binario della reintegrazione o, ripristino della natura divina dell’uomo, sulla scia della mistica platonica tradizionale, la quale attribuisce un valore ontologico al divino nell’uomo; viceversa, la rigenerazione o nascita dell’uomo nuovo si può inscrivere nella mistica di rinnovamento, che attribuisce grande importanza alle forze divine o ipostasi che, penetrando nell’essere umano, lo liberano dai vizi della materia e agiscono come forze-virtù nella creazione della sua divinità. Questo secondo filone presenta più di un punto di contatto con magia e teosofia. Cfr. A. J. Festugière, La Revélation d’Hermes Trismegiste, Le Dieu inconnu et la gnose, M. Louis Massignon (a cura di), Parigi 1950, vol. IV, pg. 211 ss. Si segnala, inoltre, che il tema della genesi spirituale dell’uomo nuovo, è collegato, nella tradizione ermetica, al tema delle nozze mistiche tra l’anima e Dio, nozze che portano al concepimento di un nuovo essere e alla reinassance. Ibidem, pg. 220 sg.

[34] Circa la connotazione archetipica della figura del Cristo in quest’opera martiniana, cfr. R. Amadou, Introduzione, cit. , pg. 13.

  Anche questo aspetto del Salvatore sembra essere coerente con uno dei temi fondamentali della gnosi antica. Non essendo, infatti, l’uomo spirituale o pneumatico in grado di salvarsi da solo,  ha bisogno di un intervento dalla sfera della luce che nella gnosi cristiana si identifica con Gesù Cristo. Tuttavia, in proposito, le versioni sono tali e tante che risulterebbe alquanto fuorviante il solo volerle elencare. Ampiamente sul punto e con autorevolezza, cfr. L. Moraldi, Testi gnostici, cit., pg. 87. Sul mito gnostico del Salvatore, in particolare in Giovanni, cfr. inoltre, Giovanni Filoramo, Il risveglio della gnosi ovvero diventare dio, Laterza Bari 1990, pg. 146 sgg.

[35] L. C., Saint-Martin, Le Nouvelle Homme, in O. M. cit., pg 24 sgg.

[36] Ibidem, pg. 164.

[37]Circa un confronto tra filosofia e mistica, soprattutto circa le diverse disposizioni d’animo che incarnano rispettivamente quella corrispondente alla tintura cosmica maschile e quella della tintura cosmica femminile, si veda pure il mio Elena Cuomo, Femminile:differenza o indifferenziazione? In “Letteratura e Tradizione”, a cura di Luisa Bonesio, n. 22, anno 2002.

[38] L.C. de Saint-Martin, Le Nouvelle Homme, cit., pag.119

[39] Cfr. E Cuomo, Il sovrano luminoso, cit., pg 170 171.

 

Tratto dalla rivista di filosofia on-line

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settembre 2006 anno I n°2

 

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