Le Scuole Iniziatiche dell'Antica Saggezza MARTINISMO
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LA REALTÀ INVISIBILE di GIOVANNI ANIEL S.I.I. (FABRIZIO MARIANI) GRAN MAESTRO PASSATO DELL'ORDINE MARTINISTA UNIVERSALE
Platone ci dice che la realtà, quale noi la vediamo, viviamo e trasformiamo, non è che un riflesso, un prodotto, un effetto delle idee che la informano: senza le idee, aggiunge, non si dà la realtà del mondo della manifestazione. Se, all'inizio, limitiamo la nostra attenzione alle cose prodotte dall'uomo, non possiamo che convenire: in effetti, perché sia possibile realizzare un ponte, una bicicletta, un'autostrada, uno spillo, un'acciaieria è necessario che, a monte, l'idea di questi manufatti si formi, si consolidi e si articoli in tutti i dettagli: perché un ponte non crolli, tanto per fare un esempio, è necessario che siano stati compiuti precisi calcoli e che, di questi calcoli, si tenga conto in fase di realizzazione. Il ponte che un giorno vedremo realizzato è, di necessità, a priori nella mente dell'architetto. Il mondo della manifestazione, però, non è fatto solo di cose prodotte dall'uomo: ci sono gli alberi, le stelle, le uova, le creature viventi, le rocce e via elencando. Non è difficile, anche in questo diverso settore di indagine, scorgere l'esistenza di un'idea, a monte, già realizzata e compiuta: nel seme di una pianta, infatti, è presente in tutti i dettagli lo schema invisibile della pianta stessa e perché il seme si trasformi in pianta è solo necessario che esso sia posto, fisicamente, nelle condizioni adatte perché questa trasformazione avvenga (interramento, annaffiamento e così via): l'uovo di gallina, una volta fecondato, resta uovo con il tuorlo e l'albume, ma se lo si pone a cova ecco che quei liquidi, pian piano, secondo i ritmi della natura, si trasformano in ossa, carne e piume di un essere vivente e senziente. Lo schema invisibile del pulcino, dunque, esiste a priori in ogni uovo fecondato. E la legge di Newton sulla gravitazione universale, in base alla quale i mondi non cadono uno sull'altro ma si muovono nel rispetto di un rigido schema operativo, non è altro che l'idea platonica sottesa all'ordine; non è difficile, a questo punto, sia detto per inciso, presupporre l'esistenza di un'Intelligenza Pura operante in tutto il cosmo, dai moti delle galassie, alle trasformazioni che avvengono all'interno delle cellule, ai salti dei quanta, Intelligenza che, se si vuole, può essere definita l'Essere in manifestazione, o, più semplicemente, Dio, Intelligenza che si identifica con la Legge che governa l'universo. Premesso che l'iniziato non deve aver fede (quindi non soggiacere a dogmi), ma soltanto essere disposto a conoscere, non possiamo ignorare che nell'uomo, elemento di questo universo, la Legge si manifesta anche come legge morale. I principi etici sono di duplice natura: gli acquisiti (che nascono dalle esigenze sociali e possono mutare con il mutare delle strutture in cui si vive, dei tempi e dei luoghi) e i fondamentali («non uccidere», per esempio), che sembrano radicati a priori nell'anima e non cambiano per quanto possa cambiare il mondo nel quale l'uomo è immerso. È ovvio dedurre che i principi di questa seconda natura prescindono dall'uomo così com'è e attingono una regione archetipale che è preclusa ai sensi ordinari, quella regione dove la Legge arricchisce il suo apparente meccanicismo (l'Intelligenza ordinatrice, infatti, potrebbe essere puramente meccanica) di una connotazione volitiva che ha le sue radici nel Bene, nell'Utile, nel Giusto, nel Bello. Se osserviamo l'uomo nella sua globalità (ché tale l'uomo è: una globalità, anche se, per meglio comprenderne le azioni, lo si frantuma in vari «corpi», dal fisico al mentale, all'astrale e via elencando), scopriamo che al di là della parte tangibile e peribile (l'insieme cioè di soma, psiche e mente) c'è qualche altra cosa: l'uomo infatti può sì dire «io penso», e in tal caso si muove nella regione del corpo mentale, ma se dice «io osservo il pensatore», e lo può fare, è costretto ad interrogarsi sulla natura di quell' «io», cioè su chi sia l'osservatore. Si può arrivare rapidamente alla conclusione che, oltre al composto peribile (il corpo, il nome, gli istinti, le passioni, le tendenze, i sentimenti, i pensieri, il modo di pensare, il livello di intelligenza, la capacità di sopportazione e così via), tutti elementi della cosiddetta personalità, nell'uomo c'è qualche altra cosa, cioè l'individualità, che pur non avendo nome, né corpo, né faccia, né tendenze, né passioni, né pensieri, è in grado di osservare e di percepirsi come essere che è, o, per dirla in termini esoterici, come Io Sono. Tutto questo non è scientificamente dimostrabile: gli esoteristi che, nell'ansia di una male intesa ricerca di credibilità e di inspiegabile gratificazione, ci hanno provato, hanno giustamente e clamorosamente fallito la prova perché hanno usato parametri incongrui, allo stesso modo che fallirebbe un matematico se tentasse di dimostrare uno dei principi della sua scienza partendo da convalidati presupposti etici. Socrate ai suoi tempi, Krishnamurti, Sai Baba e Rajineesh ai nostri non hanno mai inteso dimostrare alcunché e, anzi, hanno cercato di dissuadere gli altri dal tentarlo; hanno però indicato la via della conoscenza e, per tornare all'esempio dei segnali stradali, disegnato mappe e tracciato sentieri su queste mappe. Chiunque lo voglia può mettere il piede sul sentiero, incamminarsi e fare le sue esperienze, verificando, in tal modo, se il percorso corrisponda a quanto è scritto sulla mappa e se le indicazioni dei «cartografi» siano verosimili. L'esperienza, ovviamente, è individuale e i risultati acquisiti non sono dimostrabili con gli strumenti dell'ordinarietà corrente; resta però da chiedersi come mai tante persone, del tutto digiune di cose esoteriche, si sentano autorizzate a parlarne e a dare giudizi, quasi sempre negativi, e come mai quelle stesse persone, che non dubitano dell'esistenza di una città che non conoscono perché sanno che, se vogliono, possono andarci, davanti all'affermazione che è possibile conseguire stati diversi di coscienza seguendo determinate indicazioni (che non sono segrete), non solo non si concedono il beneficio del dubbio, ma liquidano senza esitazioni tutta la faccenda, considerandola niente altro che un'astruseria da mentecatti. Forse è in questo essere costretti a riconoscersi mentecatti agli occhi del mondo che risiede il principio della cosiddetta aristocrazia degli iniziati, principio non cercato e non voluto, ma ineluttabilmente emergente dalla forza profana delle cose. A questo punto, ritengo - e spero di essere stato inteso - di aver dimostrato a sufficienza che lo Spirito che pensa se stesso sottrae il composto umano dalla dimensione tempo per immergerlo in un Altrove che possiamo definire, se non ancora eternità, almeno non-tempo. È il primo, piccolo passo verso la liberazione dei legami che l'incarnazione impone. La problematica cristiana dell'Immacolata Concezione adombra questo principio con l'affermazione che Maria - la Myriam, matrice e sostanza basale - fu concepita senza peccato d'origine.
Da Atti del Congresso Martinista - 1993 - Edizione riservata E' vietata la riproduzione
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