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Le Scuole Iniziatiche dell'Antica  Saggezza

MARTINISMO

                                
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1° Cantico

dell’Uomo di Desiderio

(Traduzione O. La Pera)[1]


 

Le meraviglie del Signore sembrano gettate senza ordine e senza disegno nel campo dell'immensità.

Esse brillano sparse come quei fiori innumerevoli di cui la primavera orna i nostri prati.

Non cerchiamo un piano più regolare per descriverlo.

Principio degli esseri, tutti sono legati a te.

E’ il loro legame segreto con te, che conferisce ad essi valore, qualunque sia il posto e il rango che occupano.

Oserò elevare i miei sguardi fino al trono della tua gloria. I miei pensieri si vivificheranno considerando il tuo amore per gli uomini, e la saggezza che regna nelle tue opere.

La tua parola è suddivisa dal momento dell'origine, come un torrente che dall'alto delle montagne precipita su delle rocce aguzze.

Lo vedo rimbalzare in nubi di vapori; e ogni goccia d'acqua che sprizza nell'aria, riflette ai miei occhi la luce dell'astro del giorno.

Così tutti i raggi della tua parola fanno brillare agli occhi del saggio la tua luce vivente e sacra; egli vede la tua azione produrre ed animare tutto l'universo.

Oggetti sublimi dei miei cantici, sarò spesso sarò spesso forzato a distogliere la mia vista da sopra di voi.

L’uomo si è creduto mortale poiché ha trovato qualcosa di mortale in sé;

E anche colui che dà la vita a tutti gli esseri, l'uomo l'ha considerato come se non avesse né la vita né l'esistenza.

E tu, Gerusalemme, quali rimproveri non ti hanno fatto i profeti del Signore.

Tu hai preso ciò che serviva ad adornarti, dice il Signore, e che era fatto del mio oro e del mio argento che ti avevo donati; ne hai formato delle immagini di uomini ai quali ti sei prostituita.

Grida di dolore, mescolatevi ai miei canti d'allegrezza; la gioia pura non è più fatta per il triste soggiorno dell'uomo.

Non sono state di già manifestate alle nazioni, delle prove irresistibili sulle verità prime?

Se vi rimangono dei dubbi, andare a purificarvi in quelle sorgenti. poi ritornerete ad unire la vostra voce alla mia;

E celebreremo insieme le gioie dell'uomo di desiderio, che avrà avuto la felicità di piangere per la verità.

 

Commento di Sidus

 

Ai Miei Maestri  Ovidio La Pera e Vittorio Vanni

 

La meraviglia è il tema d’inizio di questa magnifica e solipsistica raccolta di cantici del Filosofo Incognito, Maestro dei Martinisti. Sovviene alla mente ciò che ha puntualizzato il Plutarco dei dialoghi delfici[2] a proposito di Apollo e della filosofia: in verità, egli dice (e lo fa dire nelle parole citate di Ammonio) ‘la filosofia ha il suo punto di partenza nella ricerca, e la ricerca a sua volta, ha il suo punto di partenza nella meraviglia e in ciò che è incerto…’; Louis Claude de Saint-Martin è meravigliato nella sua ricerca delle cose che ci dà in dono il nostro riparatore dalla constatazione che siano gettate senza un ordine apparente con un disegno inintelligibile in ciò che non ha confine spazio/temporale; il suo creato brilla non in una unità ma apparentemente disunito, sparso, come sparse sono le conoscenze che portano all’Unico, conoscenze e piccole verità frammentate che occorre avere tempo, pazienza e dedizione nella ricerca per poterle vedere brillare dove tutto è spento e senza luce. Le verità sono apparentemente insignificanti,  rare e infinitesimali da osservare, come la lettera iod ebraica (una semplice virgoletta), la più minuscola tra le lettere dell’alfabeto, l’incipit del nome di Dio; la precisa percezione di alcune di queste porta a un piccolo movimento dell’anima verso l’alto, un anelito verso l’unità che le ha sparse, che attraverso la luce iniziatica di un cammino lungo e tortuoso verso la conoscenza le ha per un attimo, un movimento intuitivo, ravvicinate e rese visibili, sempre solo per alcuni istanti.  Impossibile, continua il filosofo ‘cercare un piano più regolare’ razionale o scientistico (diremo noi oggi) per descrivere ciò che vero, ciò che è immenso. Prosegue Louis Claude de Saint-Martin suggerendo un legame che segretamente le unisce con il Dio dell’uomo, come segretamente le meraviglie nella ricerca del Vero siano annodate in una sottilissima corda che riconduce al suo diretto ideatore, il sommo iniziatore di tutte le cose.   Continua nei dialoghi delfici Plutarco (sembra quasi un commento al cantico dell’uomo che volge lo sguardo alle sfere siderali –Uomo di Desiderio-) dicendo che ‘è legittimo, giusto e ragionevole che molte delle cose che riguardano Dio siano avviluppate da enigmi ed esigano un loro perché razionale e una spiegazione di causa’, ma sommessamente il filosofo del ‘700 replica idealmente che questo segreto collegamento con il Dio è inconoscibile e inesplicabile ma da Valore, da una qualificazione ad esse, pur nella loro inapparente semplicità. La parola, il Logos, prosegue ancora il cantico, si frammenta dall’inizio  come le meraviglie del creato sparse e brillanti della luce iniziatica; e così il Logos, in principio, il Verbo, emanazione del Creatore, si complica nella molteplicità come la Babele degli Uomini e la sua torre che crolla nella sfida all’Altissimo; ma anche qui occorre ri-unire ciò che è sparso ‘come un torrente che dall'alto delle montagne precipita su delle rocce aguzze’ bisogna riuscire a convogliare entro l’alveo di un argine la furia della caduta nelle sfere inferiori della Materia che non disperda e non frantumi la Parola nelle aspre asperità della vita, delle scelte inopportune, del Male che confonde e divide, ma alla fine ricongiungere il Verbo frammentato nel Lago della Sapienza in cui si realizzerebbe uno stato dell’anima superiore ove tutto e pace e nulla è turbato dal contingente per poter così alfine ammirare ciò che siamo riusciti a riunire in noi che riflette ciò che è in Lui. La figura intensa, poetica delle singole gocce che riflettono la Luce dell’astro, emanazione di Dio, è il compimento di ciò che il Saggio opera nel suo atanor interiore riuscendo a vivificare anche quello che si è frammentato in un inafferrabile aerosol di ‘nubi di vapori’  compiendo l’unificazione e la reintegrazione con l’Uno. L’Astro del Giorno con i suoi raggi benefici assurge a rappresentazione della trasmissione della parola frammentata solo se si riesca a contemplarne l’intima essenza.   Prosegue il filosofo con una amara considerazione sulla consapevolezza della finitezza del essere: L’uomo si è creduto mortale poiché ha trovato qualcosa di mortale in sé, ma questa limpida e penetrante osservazione in ultima analisi rappresenta il punto di partenza di un moto verso quell’origine del tutto che l’Uomo sua sponte ha intrapreso nei tempi antichi elaborando un progetto che lo ponesse in contiguità/continuità con le sfere superiori nella speranza in chiave salvifica di ciò che sente dentro di sé eterno. Questo progredire  dell’uomo nel corso dei millenni, dai popoli  primordiali sino alla Creta protostorica ha partorito in primis i culti demetriaco-dionisiaci[3] forse mutuati dall’antico Egitto, da quell’Osiride-Apis che Plutarco[4] e Diodoro Siculo[5], accostavano al Dio dell’Ebbrezza e delle Selve, con la nascita dei primi riti iniziatici legati a Rea-Demetra (la grande madre ctonia) nell’isola del labirinto con l’intermediazione di Dioniso (sposo di Arianna[6]); nelle tavolette cretesi in lineare B [7] è riportato infatti il nome del dio insieme alla Grande Madre e forse il disco di Festos rappresenta la prima codificazione ‘cifrata’ di quel rito iniziatico[8] sincretico tra la dea e il nuovo dio ctonio arrivato dall’Egitto, irrimediabilmente perduto successivamente nelle oscurità del medioevo ellenico e riconquistato più tardi, ma in maniera questa volta non sincretica, con il recupero della grande tradizione iniziatica,  definitivamente separata,  rispettivamente della Grande Madre-Demetra, ad Eleusi  con la figlia Kore-Persefone e del Dio dell’urlo orgiastico (–iacché, colui che getta l’urlo - Bacco)  a Tebe in Beozia, rifiutato però da questa comunità secondo la tradizione mitica [9],  ma ad Atene al contrario accettato e ‘addomesticato’ ricevendone un’apoteosi (Dioniso insegna ad ‘abbonire’ il vino con l’annacquamento),  con la rielaborazione e la trasformazione del grido indicibile dei Satiri nell’atto della presa della preda (a sua volta simbolo e incarnazione del Dio che da cacciatore, Zagreo, diviene preda, Nebris-capriolo che nell’atto della teofagia/omofagia compie l’unificazione misterica con il trascendente come sottolineato da Rohde[10] nell’atto della possessione mistica) in ditirambo e quindi in Tragedia con la nascita del Teatro[11].  Gli ateniesi diventano quindi i geniali artefici della trasformazione dell’indicibile in rappresentabile operando una sorta di metabolizzazione, di catarsi/superamento del culto primitivo-regressivo prima ancora della evoluzione orfica.

Prosegue il filosofo incognito con una constatazione cara agli stoici che ‘La gioia’ più pura non è più fatta per il triste soggiorno dell'uomo’; è da notare come l’avverbio con valore rafforzativo ‘più’ stia ad esprimere quell’ormai passato adombrando un’epoca in cui la Gioia Pura doveva essere presente nel cuore dell’uomo e questa constatazione renderebbe quindi triste il luogo della dimora dell’uomo non reintegrato nell’essere supremo; Gerusalemme ha spezzato quell’alleanza tra Dio e gli Uomini che sta alla base del patto della religione abramidica poiché ha rifiutato il Signore ‘prostituendolo’ con il metallo (l’oro e l’argento sacri)  e formando  immagini di uomini e non uomini veri (cioè solo un pallido riflesso di ciò che dovrebbe essere composto da materia e spirito, poiché svenduto alla carne/materia, al mondo di rappresentazione inferiore, più grossolano) . Se l’uomo avesse ancora dei dubbi sulle Verità prime non ancora esperite ecco che appare l’àncora salvifica della purificazione alle Sorgenti Eterne del Logos ( Se vi rimangono dei dubbi, andare a purificarvi in quelle sorgenti, dice  il Louis Claude de Saint-Martin) per poi ritornare  ‘ad unire la vostra voce’ a quella del Riparatore, reintegrando il Logos disperso con quello originario e compiendo alla fine quel ricongiungimento all’Uno con la realizzazione dell’Unità. Solo così si potrà celebrare ‘le gioie dell'Uomo di Desiderio, che avrà avuto la felicità ’ di versare lacrime di conoscenza e di sforzo gnostico/epistemologico  che attraverso fratture e ricomposizioni può giungere progressivamente ad acquisire barlumi (crediamo noi) di Verità.

 Sidus

 

 

[1] Louis Claude de Saint-Martin, L’uomo di Desiderio trad. O. La Pera, Ed. Chiari, pp 49-50

[2] Plutarco Iside e Osiride e Dialoghi delfici, pp.155-157

[3] F. Ingrillì I cerbiatti di Dioniso, il rito misterico e la sapienza greca, p. 16 e seg.

[4] Plutarco, Iside e Osiride, 35 ibid.

[5] Diodoro Siculo, IV, 1; ma anche I, 11 e I, 14.

[6] K. Kerényi, Dioniso, Milano 1992

[7] J-P. Vernant Figure, idoli, maschere, pag 190

[8] S.M. Stella Il disco di Festos un nuovo approccio interpretativo, in Atrium, V, n° 4, pagg 29-35

[9] Apollodoro, III, 4, 2.

[10] E. Rohde, Psiche, il culto delle anime e la fede nell’immortalità presso i greci, 2 voll, trad. ital. 1970

[11] F. Nietzsche, La nascita della Tragedia, III,

 

Tratto dal sito Il Trilume

http://www.grandetriade.it/

 

 

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