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Le Scuole Iniziatiche dell'Antica  Saggezza

MARTINISMO

                                
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BREVI PENSIERI SUL RITO

 di Benedetto

 

In virtù di quel mistero che è il ritmo si motiva ciò che per noi è rito.

La ripetizione di gesti, simboli, suoni e pensieri scanditi più volte secondo una sequenza regolare e ripetitiva, si imprime, si incide energeticamente nell’etere o nella Luce Astrale come segno luminoso che rappresenti anche un linguaggio. Un linguaggio che a sua volta favorisca un passaggio di energie in un senso o nell’altro, da noi verso l’ignoto e dall’ignoto verso di noi. Un rito diviene sacro allorché vi sia la volontà e l’attenzione desta verso un soprannaturale, altrimenti vi è comunque una ritualità ma di nessuna pretesa sacrale.

Nel momento in cui parliamo di ritmo, però, viene in mente che la vita stessa del nostro universo è inserita in un enorme rituale. Perché un respiro stesso, che è ritmico, è rito; la vita, col suo ripetuto alternarsi è rito. Il pulsare stesso dei nostri organi e il pulsare del Sole stesso formano un rito cosmico dove il piccolo si sincronizza con l’apparente grande.

All’interno del nostro Logos-Sistema Solare, che possiamo considerare come un enorme e divino organismo vivente, tutto si muove ritmicamente pulsando. La vita del Logos imprime quel dinamismo che se non ci fosse non potrebbe manifestare né ritmo né ritualità. Un dinamismo ritmico, non caotico e dissonante, al punto che da sempre l’ordine e la dissonanza rappresentano la luce e le tenebre. Dal caos l’ordine mediante il ritmo, e cioè lo sforzo della Madre Binah di contenere l’espolsività vitale incontrollata del Padre Chokmah. Questo ritmo ha sue cadenze che di volta in volta noi riconosciamo e definiamo come Leggi Cosmiche, interpretandole poi secondo le nostre convinzioni talvolta devianti e patologiche. La nostra primitiva mente intepreta l’ordine ritmico-rituale cosmico a propria somiglianza, in modo proiettivo, e quindi laddove noi – per fare un esempio – non sappiamo perdonare, immaginiamo che un dio sclerotico ci punisca inviandoci folgori e sciagure, mentre si tratta solo dell’effetto ritmico, certamente cosciente e non meccanico, dello spazio Binahico, cioè curvo e contenente, dove ciò che si spedisce torna al mittente prima o poi. Se questa considerazione può apparire fuori del tema, è bene rammentare ciò che Cornelio Agrippa afferma nel suo II Volume al XXXIX capitolo delle Arti magiche: tutto ciò che proviene dal mondo celeste è buono e luminoso, ma a contatto con la natura umana debole e contorta si tramuta in negativo. E ne parla in un contesto dove la ritualità è l’argomento di base. Ciò significa anche che all’interno del rito, che originiamo attraverso una ritmicità anche temporale, abbiamo responsabilità grandi. La purificazione che necessita in tale ambito è quindi anche oggettiva, oltre che personale, perché induce a manifestarsi forze ed entità analoghe al nostro stato. A tal proposito, oltre la metodica cerimoniale, grandi maestri invitano a “sentirsi puri per essere puri” oltre che ad osservare se stessi: e lo stesso osservarsi è individuare cioè le nostre ritualità, perché ogni nostra meccanicità è sempre rituale. È rituale il nostro modo di andare in crisi così come il nostro mandare in crisi gli altri spaventandoli con cupi ammonimenti che spesso sono immotivati: il rito del potere, cui tutti possiamo soggiacere. In questi casi ed altri dobbiamo sforzarci di cambiare ritmo, cambiare rituale, e forzarci di instaurare dentro noi stessi e negli altri il senso dell’essere puri e farlo ripetutamente: è allora, ancora una volta, una forma rituale sacra perché voluta, cosciente, attenta e quindi peculiarmente magica.

Nel rito c’è anche l’applicazione della magia simpatetica ed è perfino Ignazio di Loyola ad indicarlo quando recita più o meno: “Assumi la posizione della preghiera e la sacralità si manifesterà da sola”: il simile attrae il simile e lo fa anche in virtù di processi subliminali.

In tale visione la Ritualità costituisce un potente mezzo di ricerca interiore. Il rito conferisce ordine, armonia e ritmo alle operazioni interiori “simpateticamente”, quelle operazioni che spesso sfuggirebbero al controllo della volontà. Allora, come studiamo nei testi del nostro Ordine, lavora in noi a prescindere da noi.

La Ritualità può essere considerata come una delle forme che la Sacralità può assumere, se lo studente provvede opportunamente a creare le vie per la sua manifestazione. Dal nostro punto di vista martinista, però, la Ritualità non può essere considerata sacralmente tale al di fuori dell'ambito esoterico, perché sarebbe una vuota sequenza di eventi senza alcun significato superiore. La Sacralità si manifesta in Ritualità, avendo matrice cosmica, e non viceversa. Ogni azione che cerchi di creare la Sacralità attraverso la ripetizione meccanica di un rituale, sia pure formalmente esatta ma che ignora la simpateticità cosciente e il suo valore, è forse destinata solo a creare aridità interiore.

 Benedetto

 

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