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Le Scuole Iniziatiche dell'Antica  Saggezza

MARTINISMO

                                
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IL RITO

di SIMON PIETRO

 

Una volta l’anno Aronne lo renderà puro: egli metterà sugli angoli rialzati di questo altare il sangue dell’animale ucciso per invocare il perdono dei peccati; questa cerimonia sarà ripetuta ogni anno, di generazione in generazione. Questo Altare sarà considerato Santissimo perché è consacrato a Me.

(libro dell’Esodo)


 

Voglio amore costante, non sacrifici. Preferisco che il mio popolo mi conosca, piuttosto che mi offra sacrifici.

(libro del profeta Osea)


 

Il Rito è una delle possibilità che Dio ha dato agli uomini perché questi potessero mettersi in diretto contatto con Lui. Per Rito vogliamo intendere l’insieme di azioni o sequenza di gesti e di forme verbali codificate dalla Tradizione con cui l’uomo cerca di entrare in contatto con la divinità. Parlando di sequenza di gesti dobbiamo comunque specificare che il termine “rito” è spesso usato anche per indicare forme di comportamento ripetitive o codificate senza alcun significato religioso. Fra gli studiosi del comportamento animale, il termine è usato per indicare sequenze di atti ripetitivi, quali la cerimonia di corteggiamento. Soffermando l’attenzione sulla funzione del corteggiamento, forse potremo capire come con atti ripetitivi e pieni di amore verso l’altro si possa creare un vincolo, o meglio un “quid” che anima qualcosa di nuovo, e possiamo capire come e quando questo “quid” si crea fra due persone o fra la persona e la divinità a livelli superiori così da formare il famoso “cordone ombelicale”.

Possiamo dire che il rito è uno strumento insito nella natura e quindi donatoci da Dio. Dando uno sguardo panoramico alla storia dell’evoluzione del rito possiamo notare, come già accennato, che fin dai tempi antichissimi i riti sono stati sempre caratterizzati da sequenze di gesti e dall’uso di forme verbali e renderci conto di come ogni gruppo, tribù o popolo abbia sentito la necessità di codificare tali riti e farli divenire parte inerente della loro tradizione. Possiamo anche capire come da sempre si sia sentita la necessità che ci fosse un custode, un cerimoniere, un sacerdote che vegliasse sul rispetto di tali riti e cerimonie.
Nei riti degli uomini primitivi naturalmente prevaleva l’azione. I riti propiziatori per la caccia, per la guerra, per le guarigioni, ecc., avvenivano in forma spontanea e naturalmente mimica. Nelle civiltà più evolute, al contrario, prevale la parola come espressione di pensiero che tende ad assumere sotto varie forme uno sviluppo sempre maggiore. Nel tempo infatti non sono cambiati gli strumenti essenziali del rito, “gesti e parole”, essi tuttavia si sono arricchiti continuamente soprattutto in conseguenza ad una nuova presa di coscienza sia da parte del popolo che dell’officiante; e neppure sono cambiate le circostanze significative personali e collettive nelle quali l’uomo ha sentito il bisogno di chiamare a testimonianza la divinità e di avere la sua approvazione, ma tuttavia alcune di queste circostanze o esperienze di vita sono cambiate nel tempo e se ne sono aggiunte, e se ne aggiungeranno, delle nuove in seguito a significativi accadimenti storici e a nuova presa di coscienza da parte dell’umanità. Non sono cambiate neppure le strutture basilari della forma del rito: nella prima parte la formula è imperatoria (anche deprecatoria) di tipo magico; nella seconda, è preghiera con invocazione del Dio, con lodi per captarne la benevolenza e con richiesta e promessa di ricambio (l’importanza di rinunciare a qualcosa che faccia parte della propria personalità) per potersi elevare spiritualmente; nella terza parte la narrazione diviene di carattere mitico o teologico, letture di storie e leggende relative all’azione che si compie, tratte da libri sacri che nel tempo, da semplici formule o giaculatorie, si sono sviluppate in Cantici e Salmi, accompagnati dal suono di appositi strumenti ed eseguiti da personale addestrato.

I Riti possono essere giornalieri e periodici. Quelli giornalieri servono al servizio quotidiano del Tempio, servono a tenerlo costantemente aperto e vivo. Quelli periodici sono quelli già menzionati che hanno luogo in vari tempi dell’anno, in genere in coincidenza con il ritmo delle stagioni, con l’anniversario di vicende storiche della vita del gruppo, di avvenimenti storici o mitici del Dio o dell’eroe patrono del gruppo, necessari per rafforzare la compagine, il senso dell’unione nel gruppo, per richiamare le idee e i fatti che hanno presieduto alla sua costituzione. Senza questo richiamo periodico e senza il dosaggio sapientemente disciplinato di parole e di gesti che il rito prevede, si avrebbero manifestazioni individuali sregolate e intemperanti senza alcun valore normativo o regole che possano convogliare le energie di tutti i piani dell’individuo e anche quelle di tutto il gruppo di appartenenza. Come abbiamo detto il Rito è un via diretta per connetterci con la divinità e come abbiamo potuto notare è veramente una possibilità naturale di cui ci serviamo fin dall’inizio dei tempi. “Le vie che conducono al Signore” sono infinite ma quella basata sul rito sembra avere una possibilità in più che la distingue dalle altre vie. Il rito infatti può divenire uno strumento sempre valido a prescindere dalla preparazione dall’officiante (ecco perché pericoloso): esso può essere formato da azioni e parole che si agganciano a fatti sacri realmente accaduti e, ripetuto nel tempo, questo rito può stabilire in maniera reale l’apertura con le forze della divinità. Tuttavia per molti riti l’energia che ha determinato il contatto può affievolirsi e il canale ostruirsi, se il rito per lungo tempo viene dimenticato. Ma come abbiamo potuto capire questo non è facile che avvenga perché l’oggetto, il movente, le circostanze dei riti si ripetono sempre nella vita, esse sono le esperienze del Sole e quindi nostre in quanto figli del Sole e le forze divine o emanazioni a cui ci rivolgiamo, magari con formule o nomi diversi, sono sempre le stesse forze celesti il cui intervento si è ritenuto necessario in specifiche situazioni e non in altre. Studiando l’Albero Sephirotico abbiamo compreso che le Sephiroth a cui oggi noi ci rivolgiamo indicano le stesse forze o emanazioni del divino a cui si rivolgevano gli uomini primitivi. Naturalmente la nostra consapevolezza, per esempio, ha preso coscienza che sono forze emanate da un unico Dio e non da tanti dei. Quello che, di solito, cambia è la formula più consapevole di espressione.

Il N.V.O. ci fornisce svariati tipi di strumenti, anzi possiamo dire che ci apre a tutte le strade per poter trovare quella o quelle a noi più congeniali per realizzare i nostri scopi. Gli scopi del N.V.O., come si legge nel “Libro Alef”, sono due: arrivare ad essere Uno con il Creatore (reintegrazione individuale) e collaborare con “La Grande Opera” (reintegrazione universale).

Il N.V.O. si basa soprattutto su due solidi pilastri, due Maestri Passati: Martinez de Pasqually e Louis Claude de Saint Martin, l’uno maestro dell’altro, dove, oserei dire, il discepolo sposandosi o fagocitando il Maestro ha unito le due vie, quella rituale e quella cardiaca. Possiamo dire che sono associabili rispettivamente alle due colonne portanti del Tempio, una della severità e del rigore e l’altra della grazia e dell’Amore, ambedue necessarie perché si possa formare l’architrave e mettersi al centro delle due colonne.

 

SIMON PIETRO

 

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Tratto da "Anubi" rassegna Martinista dell'O.M.U.

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