Le Scuole Iniziatiche dell'Antica Saggezza ALCHIMIA
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LETTERE ALCHEMICHE N. 3 La Lingua degli Uccelli Quando ho letto, tra le Vite del Buddha, la storia del re di Benares, non ho potuto fare a meno di ricordare le Favole di Esopo e le Favole di Jean de La Fontaine, nelle quali gli animali parlano e danno insegnamenti. Ma, ai miei ricordi d'infanzia e adolescenziali, se ne assommano altri, ben più recenti, su un linguaggio misterioso, presente in varie tradizioni, chiamato "lingua degli uccelli". Il Corano riporta le parole del re Salomone: "O uomini! Siamo stati istruiti al linguaggio degli uccelli (ultima mantigat-tayri) e colmati di ogni cosa: certamente è questa una grazia evidente!" (16, XXVII Sura, An-Narri, Le Formiche). Ma il re Salomone comprendeva il linguaggio anche degli altri animali, come ben, potettero avvedersi le formiche messe in allarme dal passaggio dell'esercito, formato da schiere di demoni, di uomini e di uccelli, convocato dal re. Secondo la tradizione, Salomone aveva avuto da Allah (gloria a Lui l'Altissimo), potere sugli uomini, sui demoni e sugli animali e con questi ultimi poteva anche comunicare. Nei Simboli della Scienza Sacra, Guénon cita la leggenda nordica di Sigfrido che, dopo aver sconfitto il drago, conquista l'immortalità, ovvero la reintegrazione nel centro dello stato umano, punto in cui si stabilisce la comunicazione con gli stati superiori dell'essere, la cui rappresentazione simbolica è espressa dalla comprensione del linguaggio degli uccelli, simbolo, a loro volta, degli Angeli, quindi degli stati superiori. In Matteo (13, 31-32) ritroviamo gli stessi "uccelli del cielo" che si posano sui rami di quello stesso albero che rappresenta l'asse che passa per il centro di ogni stato dell'essere e congiunge tutti gli stati fra di loro: "Il Regno dei Cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo: esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande di tutti gli altri legumi e diviene un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a riposarsi sui suoi rami". Riprenderemo altrove la simbologia della Verticale e dell'Orizzontale; qui, vogliamo ricordare innanzitutto la Sura XXXVII, 1-5 (Es-Caffat, I Ranghi) che si riferisce, letteralmente, agli uccelli (Es-Caffati), ma, simbolicamente, agli Angeli (el-malaikah), i quali costituiscono le gerarchie celesti o spirituali (9af, rango) che si identificano essenzialmente, secondo il Guénon, con i gradi dell'iniziazione. In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso.
Per coloro che si schierano in ranghi, (Wa es-caffati caffan)
per coloro che respingono con forza, (Faz-zajirati zajran)
per coloro che recitano l'invocazione: ( Fat-taliyati dhikran),
"In verità il vostro Dio è Uno, Signore dei cieli e della terra e di quello che vi è in mezzo, il Signore degli Orienti!"
Il secondo versetto riprenderebbe il dualismo angeli/demoni in lotta tra loro, così come la lotta tra i Deva e gli Asura della tradizione indù, e quella della luce e delle tenebre, personificate in Ormuzd e Ahriman della tradizione mazdea. Il terzo versetto vede gli angeli recitare il dhikr, che si deve intendere per il Corano espresso in linguaggio non umano, prototipo eterno scritto sulla "tavola custodita" (el-lawhul-mahfuz), che si estende attraverso tutti i gradi dell'Esistenza universale. La parola dhlkr si applica, nell'esoterismo islamico, a formule ritmate corrispondenti esattamente ai mantra indù, formule la cui ripetizione ha lo scopo di produrre una armonizzazione dei diversi elementi dell'essere, e di determinare vibrazioni suscettibili, con la loro ripercussione attraverso la serie degli stati, in gerarchia indefinita, di aprire una comunicazione con gli stati superiori, ragion d'essere essenziale e primordiale di tutti i riti. Anche i Deva si proteggevano (achhan dayan), nella loro lotta contro gli Asura, con la recitazione degli inni del Véda, che per tale motivo furono detti chhanda, parola che designa propriamente il "ritmo". La "lingua degli uccelli" è, quindi, un linguaggio ritmato usato per entrare in comunicazione con gli stati superiori. E rilevante che i libri sacri siano scritti in linguaggio ritmato, e che tali debbano intendersi i cosiddetti "poemi epici" dell'antichità classica, occidentale ed orientale. Lo stesso Adamo, secondo una tradizione islamica, parlava in versi, in quella "lingua siriaca" (loghah súryaniyah), la lingua della "illuminazione solare" (shems-ashraqyah), parlata_ nella Siria primitiva, descritta da Omero come un'isola "al di là di Ogigia", identificabile con la Tula iperborea. Ci fu un tempo in cui la poesia era chiamata "lingua degli Dei" (e ricordiamo che il latino Deus equivale al sanscrito Déva) ma, guarda caso, in latino i versi erano chiamati carmina, designazione che si riferiva al loro uso nella celebrazione dei riti. La parola latina carmen sarebbe, quindi, identica alla parola Karma, intesa nel suo significato di "azione rituale", derivante a sua volta dalla radice sanscrita Kri, la stessa da cui deriva il verbo latino creare. La Parola (in sanscrito, Vac) è potenza tale da creare il mondo, così come riportato dai Veda, dal Genesi e dal Vangelo di San Giovanni. La conoscenza sacra tradizionale era affidata, quindi, alla parola, la cui funzione è quella di richiamare e rievocare. Mentre lo scritto limita il pensiero entro segni morti, la parola è viva e deve essere giustamente pronunciata da coloro che sanno; l'intonazione, la cadenza e la modulazione sono fondamentali, così come l'esatta emissione di prana, il respiro su cui scandire i suoni. Il prana, essenza vitale del cosmo, energia onnipervasiva, corrente dinamica ed elemento unificatore dell'universo è stato già oggetto di nostra indagine. Conoscerlo e padroneggiarlo significa potere e conoscenza. La Parola è potenza, al punto da vincolare gli stessi Dei, soprattutto se proferita da sacerdoti, re, genitori, asceti e saggi, tanto che maledizioni, giuramenti, affermazioni autorevoli non possono essere vanificati, ma solo modificati e corretti con altre parole. Anche il poeta era interprete della lingua sacra attraverso cui traspare il Verbo divino, per ispirazione profetica, ed un tempo era chiamato vates. Per degenerazione del concetto, in tempi più recenti, il vates si trasformò in un volgare indovino e il carmen in "incantesimo", cioè in una operazione di bassa magia. I fonemi sacri, chiamati, in India, mantra, sono combinazioni di suoni evocativi, corpi vibrazionali delle divinità e delle forze cosmiche e coscienziali che queste adombrano: del mistero ultimo ne sono l'essenza vitale sonora. A livello cosmico risvegliano e condensano l'energia e la trasformano in materia manifesta. A livello umano operano trasformazioni psicofisiche e sono l'intima essenza degli stati divini di coscienza espansa. In quanto manifestazioni sonore dell'energia pura non sono descrittivi ma evocativi, liberano dal profondo il linguaggio primordiale dei simboli e inducono all'ascolto della Verità che sta dentro e non fuori dall'uomo. Essendo vibrazioni energetiche, vanno sperimentati nel corpo. La scienza dei mantra permette di trascendere i limiti del linguaggio umano per "parlare parole di potenza" che schiudono gli orizzonti del mondo sacro, permettendo di dialogare con le Forze per farle proprie nell'arduo e pericoloso cammino di riunificazione secondo la "scuola advaita". continua - lettera alchemica n. 4 I.D.S. © Copyright - Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale
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